Con la fine dell’anno arriva il momento di tirare le somme e anche a Modena, storica roccaforte del Pci-Pds-Pd, c’è aria di crisi. Una crisi che non è solo economica ma soprattutto politica e che riguarda tutti i principali partiti di maggioranza e opposizione, Pd, Pdl e Lega Nord, protagonisti nel 2011 di scontri e polemiche prima di tutto intestine.
Tra consiglieri, in Comune, ma anche con Provincia e Regione, dispute che hanno spaccato dall’interno quegli stessi schieramenti che avrebbero dovuto agire in maniera coesa e per la città. Pronti a fronteggiare prima la mannaia della manovra Berlusconi, che all’amministrazione modenese è costata ben 60 milioni di euro per il biennio 2011 e 2012, e poi quella del governo Monti, che prefigura mesi, o anni, di sacrifici per tutti i cittadini.
In città si è invece configurata una situazione politica che ha fatto discutere gli elettori, le istituzioni e la procura. Una rappresentanza frammentata che è passata dai sette partiti usciti dalle elezioni del 2009, Pd, Lega Nord, Movimento 5 Stelle, Idv, Pdl e Sinistra per Modena, ai nove seduti in Comune oggi, quattro dei quali sono composti da un unico consigliere.
La Lega Nord era partita, nel 2009, con quattro consiglieri, Sandro Bellei, Stefano Barberini, Mauro Manfredini e Nicola Rossi, ma lungo la strada ha perso parecchi pezzi. Dopo il cambio di bandiera di Bellei, passato tra le fila del Pdl, infatti, in autunno ha dovuto fronteggiare una scissione intestina al gruppo consiliare, una crepa culminata con l’espulsione, il 21 novembre, di Rossi e Bianchini, divenuti presto fondatori della Lega Moderna. Quei consiglieri che a loro volta avevano fatto sfiduciare il “grande accusatore” Stefano Barberini, l’ex capogruppo che spese 1300 euro, soldi del partito, per pagarsi iPad, computer e cene.
Crisi politica anche per il Pdl modenese, che inizierà l’anno preparandosi a un congresso, il primo in assoluto in città, più che mai disunito. Non concorde nemmeno sulla data, spostata da gennaio a febbraio tra polemiche e accuse che si sono susseguite per settimane.
Spaccato da tre correnti forti pronte a lottare per ottenere il predominio, la fazione capeggiata da Isabella Bertolini e Andrea Leoni, ex forzisti, quella del senatore Carlo Giovanardi e di Enrico Aimi, appoggiato da Gianpiero Samorì e intenzionato ad assumere il comando del partito provinciale. E poi c’è il “terzo polo azzurro”, il sodalizio tra il sindaco di Sassuolo Luca Caselli e Michele Barcaiuolo, ex An, anch’egli pronto a correre da solo sotto il vessillo pidiellino.
Ma anche all’interno del Pd non sono certo mancate le occasioni di scontro. Ad agosto la roccaforte rossa ha subito la scossa del terremoto Bonaccini. Il consigliere regionale e l’assessore comunale Antonino Marino, infatti, sono stati indagati dalla Procura di Modena per turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Secondo l’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Enrico Stefani, relativa a fatti del 2003, Stefano Bonaccini, allora assessore comunale al Patrimonio, avrebbe favorito l’ingresso e la permanenza, nella gestione di un chiosco – birreria al parco Ferrari, dei soci di Sdps.
A settembre poi un altro colpo, le dichiarazioni – ultimatum dell’Assessore Daniele Sitta in una lettera pubblicata sul Resto del Carlino. Che minacciava di abbandonare il Partito Democratico qualora le decisioni politiche non fossero state in grado di “affrontare i cambiamenti e dare risposte adeguate” in un momento in cui “il benessere di cui abbiamo goduto è in serio pericolo”.
Ma anche lo stesso sindaco di Modena, Giorgio Pighi, si è trovato spesso nell’occhio del ciclone, accusato di non voler aprire la sua giunta a sinistra e protagonista di scontri e polemiche più o meno accese, che hanno destato nervosismo e malcontento nelle sale di piazza Grande. Il caso più recente è stato quello delle nomine Hera, quando Davide Baruffi, segretario provinciale del Pd, ha polemizzato con le scelte del sindaco, ritenute fuori asse e non in linea con le politiche del territorio. Una baruffa in casa Pd che ha fatto gongolare tutto il centro destra, e che ha evidenziato malumori a malapena compattati.
Il quadro politico modenese appare quindi pieno di crepe, di spaccature pronte ad allargarsi qualora non si dovessero negoziare soluzioni capaci di appianare divergenze e cori indipendenti. Del resto, l’ultima parola sul comportamento dei partiti cittadini l’avranno proprio gli elettori, in primavera, quando nei piccoli comuni di Serramazzoni, Castelnuovo e Novi si andrà a votare. Le dimensioni delle città non conteranno quanto le percentuali che ogni sigla riuscirà ad aggiudicarsi, resta da vedere chi sarà il vincitore visto che lo status quo sembra non avvantaggiare nessuno schieramento.