Il Presidente Napolitano ha risposto in questi giorni con una lettera di grande spessore, ad alcune domande che il direttore di Reset gli pose qualche mese fa. La più importante delle quali, a me pare, è quella che indaga la ragione per cui l’epoca in cui viviamo abbia prodotto solamente dei pigmei della politica, nulla di paragonabile agli Einaudi, Roosevelt, Churchill che li hanno preceduti.
Provo a dare il mio parere qui.
Gentile Direttore,
Le scrivo in qualità di cittadina italiana, per molti anni dirigente in multinazionali e testimone diretta di quell’economia liberista che oggi appare in grave crisi.
Le scrivo perché coinvolta dalle sue domande e dalla lettera del Presidente Napolitano per cui mi sento chiamata ad azzardare risposte.
Terminai i miei studi laurea e master in Bocconi negli anni ’80: eravamo una quarantina tra uomini e alcune donne con profili eccellenti e molto richiesti dalle aziende: a nessuno di noi venne in mente di intraprendere una carriera politica, né ricordo che in quegli anni ’80, che videro l’adesione totale dei mercati all’economia liberista, circolasse l’idea che entrare in politica potesse essere una scelta giusta e etica.
La politica appariva la scelta per i meno capaci, un luogo fuori dai giochi che contavano.
Ricordo che mi stupii quando, anni dopo, mi venne offerto un incarico internazionale che mi condusse a vivere in Francia e lì scoprii l’ENA, Ecole Normale Administratif che sfornava i futuri dirigenti governativi tanto bravi da essere richiestissimi anche dalle aziende private. Conservo chiaro però il ricordo che in quegli anni né in Italia né in Francia fosse dato alcun peso al concetto di etica del business, che solo molti anni dopo avrebbe trovato ascolto, poco ascolto a dire il vero. Ciò che contava era fare profitti, il fine ha giustificato i mezzi per molti anni con tutto ciò che ne è conseguito. Le lauree più richieste erano quelle in discipline economiche, lauree da “vincenti”. Ricordo per certo che la cultura di base era ridotta ai minimi termini: se devi produrre, se sei valutato su quanto profitto fai fare all’azienda, se lavori 14 ore al giorno, ti stai preparando ad essere un grande manager, più raramente una grande persona. Come è possibile che ci si sia dimenticati che per vent’anni nessuno ha mai pronunciato parole come valore umano, responsabilità morali, scelte etiche? Come avremmo potuto discutere di valori quando in quegli anni si producevano aberrazioni all’interno delle aziende che venivano fatte passare per procedure “normali”? Il mobbing è un’invenzione degli anni ’80 che trova la sua massima applicazione negli anni ’90: in pratica si “faceva fuori” psicologicamente un dirigente per non riconoscergli la buonuscita che gli sarebbe spettata. Mi capitò di fare una ricerca per una Associazione Industriale e intervistai alcuni “mobbizzati”, che avevano “scelto” di licenziarsi: fu un’esperienza terribile, uomini 50enni in isolamento dal mondo. Se l’operaio trova infatti nella tragedia del licenziamento almeno la solidarietà dei compagni, il dirigente mobbizzato vive in solitudine come una vergogna la colpa di essere stato allontanato dall’azienda: in quegli anni il Luogo dove Esistere per eccellenza.
Trent’anni in cui l’economia prima e la finanza poi hanno dettato legge alla Politica. Sarebbe ridondante fare l’elenco degli orrori a cui abbiamo assistito: le migliori società di certificazione di bilancio che fallivano per avere certificato il falso e che risorgevano solo dopo pochi mesi senza che nessuno si opponesse, industriali che distruggevano investimenti fatti crescere pazientemente negli anni con spericolati investimenti in quella finanza che avrebbe condotto al disastro a cui abbiamo poi assistito.
“Durante il lungo secolo del liberalismo costituzionale (…) le democrazie occidentali sono state dirette da una classe di uomini di Stato visibilmente superiore. A prescindere dallo schieramento politico, Léon Blum e Winston Churchill, Luigi Einaudi e Willy Brandt, David Lloyd George e Franklin Roosevelt rappresentavano una classe politica profondamente sensibile alle proprie responsabilità morali e sociali. Resta il dubbio se furono le circostanze che produssero quei politici o se fu la cultura dell’epoca che indusse uomini di quel calibro a entrare in politica. Oggi non agisce nessuno di questi incentivi. Politicamente parlando, la nostra è un’epoca di pigmei». Scrive Tony Judt nel suo libro Guasto è il mondo, Laterza.
Cosa fa di un uomo un grande uomo? Cosa rendeva Luigi Einaudi un uomo sensibile alle proprie responsabilità morali e sociali? Forse la sua natura? O l’educazione ricevuta? Certamente, ma ancor più io credo che abbia molto contato un contesto che premiava i valori morali sociali. Valori come coraggio, rigore, serietà, rettitudine, capacità di indignarsi, abnegazione, perseveranza, impegno per un fine sociale comune, paiono tutti appartenere ad un altro secolo. Forse oggi ne cominciamo a risentirne la necessità.
Un contesto come quello in cui siamo cresciuti negli ultimi anni non poteva che produrre pigmei. Qualunque epoca incapace di progettare a lungo termine, e in azienda a lungo termine ha significato al massimo un arco temporale di cinque anni, può produrre solo pigmei. Uomini programmati per produrre. Resi inadatti a progettare per un fine comune capace di varcare l’arco temporale di una vita. Questa capacità mi pare avesse Luigi Einaudi e altri come lui.
L’economia e la finanza sono strumenti della politica, non viceversa.
E allora, se vogliamo sperare in una futura classe politica sensibile alle proprie responsabilità morali e sociali, forse più che rinnovare lo sforzo verso una qualificazione culturale e morale della politica italiana ed europea, dobbiamo con urgenza rivolgerci ai ragazzi e alle ragazze nelle scuole per indirizzare a loro il nostro improrogabile desiderio attraverso una riforma della scuola tesa alla costruzione di una società finalmente migliore.