L’anno che verrà sarà una nuova sfida. Come sempre. Non ci sono anni fortunati o sfortunati. Ci siamo noi e i nostri piccoli o grandi obiettivi da raggiungere o almeno provare a raggiungere. E ci sono scelte che possono basarsi su un “posso” o su un “non posso”. I primi sono preferibili. E poi ci sono le situazioni che non scegliamo e non possiamo cambiare, e che dobbiamo solo, per forza, accettare e metabolizzare.

Non seguo, perciò, la scia di chi fa bilanci come se ci fossero davvero percorsi che si chiudono o aprono con quel cambio di data al quale, dopo massimo tre giorni, saremo abituati. Seguo, invece, lo spirito saggio di una diciassettenne che ha scritto “è quasi finito un anno e qui vedo la gente che fa bilanci su bilanci. Io non ho molto da dire. Sono felice e basta. Ho raggiunto tanti risultati, ho ricevuto molte cose… ma ne ho anche perse alcune che avrei preferito tenere. Ma in fondo se è andata cosi, cosi doveva andare. Alla fine che importa? Sono felice di tutto”. Lei si chiama Serena Vitaliano ed è mia nipote e le sue parole mi hanno dato una delle ultime felicità di un anno dispari.

Di quest’anno, però, voglio ricordare due momenti, fra gli altri, che, mi hanno reso, rispettivamente, infinitamente felice e profondamente triste. Uno e’ stato il 24 giugno, giorno in cui il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha firmato la legge che garantisce diritto, alle coppie gay, di sposarsi legalmente. Ricordo quel momento in ogni dettaglio, ricordo la gioia dei miei amici, gay e non, e la certezza che qualcosa di buono, di veramente buono era stato fatto e io ne ero testimone. Una gioia molto simile a quella della notte in cui Barack Obama divenne il 44° presidente degli Stati Uniti. Fosse anche solo per quel momento, quest’anno meritava di essere vissuto. Presto le coppie gay saranno riconosciute a livello federale. Bisogna solo aver un altro po’ di pazienza. Come sempre quando si tratta di diritti umani. Pazienza e tenacia.

Ho provato, invece, profondissima tristezza, il 5 ottobre, quando si è spento Steve Jobs. La storia della sua vita mi ha sempre incuriosito. Il suo genio creativo mi ha affascinato. La tragedia della sua morte è stata proporzionale alla particolarità della sua vita. Soprattutto, però, Jobs mi ha sempre ricordato ciò che è negato quotidianamente agli italiani, a quegli eserciti di ragazzi e ragazze che studiano, si impegnano, progettano, sognano e poi vengono delusi e traditi da una società che non è mai stata nemmeno sfiorata dal principio della meritocrazia e che affonda sempre di più, giorno dopo giorno, nella palude della corruzione.

Vorrei anche, ovviamente, fra i momenti belli, ricordare l’uscita di scena di Silvio Berlusconi. Che sarebbe piena di senso se con lui se ne fosse andato anche il deleterio “berlusconismo” che ha contaminato gran parte del paese. Purtroppo, finora, non mi è pervenuto nessun segno di cedimento.

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