Il nuovo anno nelle carceri italiane inizia com’era finito il vecchio: un detenuto si è tolto la vita nel penitenziario delle Vallette, a Torino, un altro ha tentato di uccidersi a Vigevano, mentre un terzo è morto a Trani per cause da accertare. Nel carcere di Vasto, infine, un altro detenuto ha tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene del polso. L’ultimo caso del 2011 aveva coinvolto non un detenuto ma un poliziotto: Antonio Caputo, un assistente capo della Polizia Penitenziaria. Aveva 44 anni e si è sparato con la pistola d’ordinanza nella sua auto il 20 dicembre. Con il suo, nel 2011, il numero di suicidi di agenti penitenziari in Italia è salito a otto. Un bilancio nero, aperto ad Aprile con il caso di un agente in servizio a Nuoro. Dopo di lui, un collega si è impiccato a Caltagirone. Poi sono arrivati i suicidi di Viterbo, Parma, Torino, Roma, Avellino e Pordenone. Sommati ai 66 casi tra i detenuti – quasi uno ogni mille – fanno 74 suicidi legati alle carceri italiane in pochi mesi, 912 dal 1997 a oggi (822 tra i detenuti e 90 tra gli agenti).
Numeri da brivido, che rendono con spietata chiarezza quale sia la situazione che si vive nei penitenziari italiani. Nelle 206 carceri la vita è impossibile per chiunque: per i settantamila detenuti stipati nelle strutture che al massimo potrebbero contenerne poco più della metà, e per i trentottomila agenti, pochi, pochissimi per gestire una situazione ormai ingovernabile. “I poliziotti sono responsabili di tutto ciò che succede in sezione”, spiega Donato Capece, segretario del principale sindacato di categoria, il Sappe. “Se c’è qualche problema, ne rispondono disciplinarmente e, se gli va bene, vengono sospesi dal servizio in attesa di accertamenti con conseguente dimezzamento dello stipendio. A questo si aggiunga che quasi tutti gli agenti sono in servizio lontano da casa”. Molti di loro vivono in caserma ventiquattr’ore al giorno, perché dopo le otto o nove ore di servizio lasciano la sezione detentiva e si chiudono in camera nella caserma del penitenziario. Molti altri per dieci, anche quindici giorni non smontano mai, così da accumulare qualche giorno di riposo in più per far visita ai propri cari. C’è chi riesce a reggere la pressione e chi invece non ce la fa, e nella migliore delle ipotesi viene giudicato non idoneo al servizio per sindrome ansiosa-depressiva e congedato.
Lo chiamano burnout, indica il punto di non ritorno dello stress accumulato dagli agenti, che per poco più di mille euro al mese si trovano spesso a lavorare lontano dai loro familiari, costretti a turni di lavoro massacranti, condannati come i detenuti a vivere la maggior parte della loro vita in strutture sovraffollate e fatiscenti. Sono l’altra faccia dell’inferno delle carceri, quella dei secondini abbandonati al loro destino. E che denunciano di essere ascoltati poco dalla politica. Tanto che il suicidio di Caputo, arrivato poche ore prima della presentazione del decreto svuota-carceri, è suonato quasi come un monito al Governo e al Parlamento. “L’iniziativa del ministro Severino – continua Capece – è un primo passo, ma non risolve il problema. Serve un sistema sanzionatorio diverso e la derubricazione di alcuni reati. È soprattutto così che sarà possibile rendere le carceri meno affollate e più vivibili”. Oltre che aumentando il numero di penitenziari. Eppure, il Piano carceri avviato agli inizi del 2010 e che dovrebbe portare alla costruzione di 11 nuovi istituti penitenziari e 20 nuovi padiglioni, viaggia ancora a rilento.
Ad oggi, neanche una delle centinaia di nuove celle previste è stata realizzata, e dei 670 milioni a disposizione ne sono stati impieati 70, poco più del dieci per cento. Solo a Piacenza sono stati avviati i lavori per la costruzione di un nuovo padiglione da duecento posti, mentre per il resto si è fermi agli accordi con Regioni e Comuni per la localizzazione di nuove carceri. I bandi per l’ampliamento del carcere di Milano Opera, Trapani, Lecce, Taranto, Parma, Sulmona e Vicenza sono ancora aperti a quasi due anni dall’avvio del piano, e di tutti gli altri non si sa ancora nulla. E’ anche per questo che lo stato di emergenza delle carceri, che avrebbe dovuto concludersi entro il 31 dicembre 2011, è stato prorogato fino al 3 dicembre del 2012. Ma l’emergenza vera, quella che adesso preoccupa di più, riguarda i suicidi, e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria lo sanno bene. Tanto che Franco Ionta, l’ex Procuratore Aggiunto di Roma da oltre tre anni alla guida del Dap, ha annunciato a fine Ottobre (subito dopo l’ennesimo suicidio di un agente) l’istituzione di una Commissione che sarà operativa tra pochi giorni. “Il contesto lavorativo può essere una concausa nella genesi del suicidio, ma sarebbe semplicistico considerarlo l’unica causa. Vanno considerate anche motivazioni di carattere personale che hanno a che fare con situazioni di disagio familiare, economico, sociale e la capacità personale di reggere a situazioni intense di stress e depressione. E’ per questo che ho chiesto a due psichiatri esperti del fenomeno di far parte del gruppo di studio che ho costituito e che sarà composto anche da personale di polizia penitenziaria di grande esperienza. La Commissione ha un mandato chiaro: l’analisi quantitativa e qualitativa del fenomeno, l’analisi del contesto, l’elaborazione di linee guida per rendere omogenei gli interventi a livello nazionale”. Il gruppo di studio terminerà i lavori il 31 marzo 2012. Da allora, si passerà alla fase operativa. Se così non fosse, i sindacati sono pronti alle barricate: “Se nel 2012 non arriveranno segnali concreti di una riforma strutturale ci faremo sentire. A cominciare dal blocco dei trasferimenti dei detenuti da carcere a carcere”.