Il presidente sudcoreano Lee Myung-bak ha deciso di usare il discorso di inizio anno per aprire uno spiraglio verso la Corea del Nord. L’annuncio era in qualche modo atteso, dopo la morte del leader nordcoreano Kim Jung Il. Intanto l’apparato del regime di Pyongyang si allinea dietro il nuovo leader, il 28enne Kim Jong-un. Il nuovo erede della dinastia nordcoreana è stato dichiarato capo supremo dell’esercito appena dopo i funerali solenni per il padre, tenutisi nella capitale del Nord lo scorso 28 dicembre. E mentre gli analisti guardano e aspettano di capire cosa farà il nuovo capo di uno dei Paesi più chiusi e isolati del mondo, dotato di armi nucleari – anche se sulla loro efficacia più di un esperto dubita – Lee Myung-bak ha provato a lanciare un segnale: “La situazione nella penisola coreana sta entrando in un momento di svolta – ha detto il capo del governo di Seul – Ma deve esserci una nuova opportunità, tra i cambiamenti e le incertezze”.
Alle parole di disgelo, Myung-bak ha però fatto seguire immediatamente dichiarazioni più dure, dicendo che comunque il Sud “risponderà con decisione” a provocazioni del Nord. Per questo, ha assicurato Myung-bak, il Sud “manterrà il suo dispositivo di sicurezza nazionale”, che dalla morte di Kim Jung-Il è in stato di pre-allerta. I due Paesi sono ancora tecnicamente in guerra, visto che il conflitto del 1950-53 si è concluso con un semplice cessate il fuoco, senza trattato di pace. Il confine tra le due Coree, lungo il 38esimo parallelo, è il più militarizzato del mondo. Gli Stati Uniti mantengono in Corea del sud una presenza militare da quasi 30 mila soldati.
Il discorso di Lee Myung-bak segue di poche ore il comunicato della Commissione nazionale di difesa, cioè i vertici delle forze armate nordcoreane, che attraverso la tv di stato Kcna hanno diramato un comunicato in cui si invitano “il partito, le forze armate e il popolo coreano ad avere la ferma convinzione per essere pronti a diventare scudi umani in difesa di Kim Jong-un fino alla morte”. La stessa televisione di stato ha riferito che il giovane capo ha passato il primo dell’anno facendo visita a una divisione corazzata. Un segnale di quel “non aspettatevi alcun cambiamento” contenuto nelle prime dichiarazioni pubbliche attribuite a Kim Jong-un, preoccupato evidentemente di rappresentare prima di ogni altra cosa la continuità con il governo paterno, durato dal 1994 al 2011 e segnato soprattutto dai test nucleari condotti nel 2006 che hanno radicalmente modificato sia l’equilibrio di forze tra Nord e Sud sia la preoccupazione con cui la comunità internazionale, a partire da Washington e Pechino, guarda ai destini della Corea del Nord.
Negli ultimi tre anni, peraltro, le relazioni tra i due paesi sono state molto nervose. Quando Lee Myung-bak è stato eletto presidente a Seul, infatti, è finita la politica di aiuti umanitari al Nord senza condizioni che il suo predecessore aveva inaugurato. Il nuovo presidente, infatti, ha condizionato gli aiuti al disarmo del Nord, una condizione considerata inaccettabile da Pyongyang. Nel marzo del 2010, in un “incidente” sul controverso confine marittimo tra i due paesi, una nave da guerra sudcoreana è stata affondata, probabilmente da un siluro del Nord, provocando la morte di 46 marinai. Otto mesi più tardi, altri quattro soldati sucoreani sono stati uccisi dall’artiglieria del Nord che ha preso di mira un isolotto conteso.
Non ci sono stati riferimenti né allusioni a questi episodi nel discorso di Lee Myung-bak e questo, secondo alcune analisi, è un ulteriore segnale di apertura verso la nuova leadership a Pyongyang, dove però non sembra che i vertici militari – probabilmente i veri padroni del paese – vogliano ammorbidire la propria posizione verso il governo di Seul, criticato duramente nei giorni scorsi per non aver mandato alcuna delegazione alle cerimonie funebri per Kim Jong-Il.
di Joseph Zarlingo