Per l'imprenditore Zammarchi, indagato per la bancarotta del San Raffaele, era "un uomo eccezionale e l’inchiesta è l’ultima delle cazzate" e lascia capire che nel pubblico si pagano "tangenti", mentre tra privati si tratta di "percentuali"
Nemmeno nel giorno dei funerali riescono a rimanere distanti le polemiche che negli anni hanno investito la figura di don Luigi Verzè, sacerdote fondatore dell’ospedale San Raffaele al centro delle inchieste giudiziarie che riguardano la scoperta, nel suo istituto, di un buco da un miliardo di euro.
A salutare per l’ultima volta don Verzè soprattutto amici, ancor più che uomini politici: distanti quelli che forse gli sono stati più vicini in tutti questi anni e che hanno sostenuto le sue iniziative: alla camera ardente allestita nel Ciborio della Basilica del San Raffaele non c’erano l’ex premier Silvio Berlusconi e il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni che ha giustificato la sua assenza con “impegni famigliari” .
C’erano, invece, gli amici: Al Bano, Renato Pozzetto, in rappresentanza della politica l’ex ministro della Salute, Ferruccio Fazio, il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà, l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari che è anche docente all’Università Vita e Salute del San Raffaele. Al Bano ha difeso a spada tratta l’attività e l’esperienza di vita di don Verzè: “Ho letto delle cose veramente vergognose e che non si meritava”, ha detto Al Bano che nella camera ardente ha anche cantato in omaggio all’amico, augurando “un pò di pace per quest’uomo che se lo merita”.
A turbare il clima di commozione della cerimonia l’uscita pubblica dell’imprenditore Pierino Zammarchi, indagato con il figlio nell’inchiesta per bancarotta sul San Raffaele. L’imprenditore edile ha premesso: Don Verzè era “un uomo eccezionale e l’inchiesta è l’ultima delle cazzate, perchè non è stato fatto nulla in particolare”. Poi si è prodotto in una confusa distinzione tra “tangenti” e “percentuali”. “Non ho mai mai lavorato per il pubblico perchè bisognava pagare. Io – ha detto Zammarchi – ho lavorato anche per Rotelli (il re della Sanità lombarda che ha fatto l’offerta per il S. Raffaele), al San Donato, e anche lì si pagava la percentuale”. Tangenti nel pubblico e percentuali nel privato, è sembrato di capire, ma a stretto giro di posta è arrivata la replica di Giuseppe Rotelli: “Mai conosciuto il signor Zammarchi” ed “escludo in modo categorico di avere mai ricevuto tangenti nella mia vita da chicchessia quanto meno dal signor Zammarchi”. In aggiunta l’annuncio di aver dato mandato ai suoi legali di tutelare la sua onorabilità.
Più tranquilla la cerimonia a Illasi, nel Veronese, paese natale di don Verzè, dove sono stati celebrati i funerali. Vittorio Sgarbi, ricordando la figura del sacerdote, ha detto che “ha sempre fatto del bene e chi gli attribuisce volontà di frode è un cogl…”. Da qui anche un acceso diverbio con un presente. Monsignor Giuseppe Zenti, vescovo di Verona, ha definito il sacerdote solitario “come tutti i geni”, ma anche “disposto a riconoscere di aver debordato”. “E’ vissuto tra applausi che non disdegnava e grattacapi,” ha proseguito monsignor Zenti che ha parlato di “un uomo che in questi ultimi anni ha vissuto il clamore anche mediatico, ma che ha anche conosciuto i momenti del tabor e del calvario”. “Si è detto di tutto su di lui – ha proseguito il vescovo – anche fuori dalle righe con una certa disinvoltura, non sempre con umanità ma i malati erano i suoi padroni, e perciò viveva per i malati. Se ha avuto degli eccessi la colpa, per così dire, va ad attribuirsi ad un eccesso per i malati”.