Non bastavano le stragi di Natale, con oltre 100 morti in attacchi coordinati dell’organizzazione terroristica Boko Haram. Il governo nigeriano del presidente Goodluck Jonathan si trova a fronteggiare una nuova emergenza. Subito dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza in quattro stati del paese, il governo ha infatti annunciato la decisione di tagliare i sussidi per l’acquisto calmierato della benzina, con il rischio che il prezzo dei carburanti potrebbe raddoppiare in molte zone del paese. La decisione del governo ha già innescato cortei spontanei di protesta e, soprattutto, la reazione furibonda dei sindacati che hanno minacciato uno sciopero generale.
Il primo effetto della decisione governativa, però, è stata la corsa all’accaparramento della benzina, il cui prezzo è già salito sia sul mercato legale che su quello nero, che per molti nigeriani è la principale fonte di approvvigionamento. Ai distributori il prezzo di un litro di benzina è passato da 65 naira (la moneta nigeriana), più o meno 40 centesimi di dollaro, a 140 naira, mentre sul mercato nero si è passati da 100 naira a 200. La benzina e il diesel, peraltro, non servono solo per le automobili, ma anche per i generatori e i gruppi elettrogeni che in molte aree, specialmente nei quartieri poveri delle città e nelle zone rurali, sono la sola fonte di energia elettrica.
Il governo, con un comunicato ufficiale, ha cercato di calmare la situazione affermando che “non c’è bisogno di accaparrare benzina, perché i consumatori riceveranno adeguati rifornimenti a un prezzo competitivo”. Dietro una decisione così controversa, c’è il desiderio di migliorare il budget federale, dalle cui casse, secondo le stime del governo, dovrebbero uscire 8 miliardi di dollari in meno grazie al taglio dei sussidi. Soldi che il presidente promette di usare per migliorare le infrastrutture del paese.
Goodluck Jonathan, confermato alla presidenza del più popoloso paese africano (oltre 162 milioni di abitanti, su una superficie tre volte quella dell’Italia) nell’aprile del 2011, aveva promesso di affrontare una delle piaghe del paese, la corruzione, finora però senza risultati apprezzabili. Secondo gli esperti del settore, proprio la corruzione e la cattiva gestione delle risorse petrolifere provocano la situazione per cui la Nigeria, principale esportatore di greggio dell’Africa e ottavo esportatore del mondo, soffre di penuria di carburanti: il greggio esportato viene raffinato all’estero e poi ricomprato sotto forma di benzina e diesel. Le raffinerie locali, spesso in pessimo stato, non riescono a coprire la domanda interna. Per ovviare almeno in parte a questa stortura, nel luglio del 2010 era stato concluso un accordo con la Cina per la costruzione di una nuova raffineria, che però non è ancora entrata in funzione.
Le giustificazioni del governo non hanno convinto le due principali centrali sindacali del paese. In un comunicato congiunto, il Trades Union Congress e il Nigeria Labour Congress hanno “messo in allerta la popolazione in vista del D-Day dello sciopero generale, affinché cominci manifestazioni di massa, scioperi e cortei in tutto il paese. Questa promette di essere una lunga battaglia – scrivono ancora i sindacati – . Sappiamo quando comincia ma non sappiamo se e come finirà. Siamo fiduciosi però che il popolo della Nigeria alla fine avrà la meglio”.
Non è la prima volta che il governo nigeriano cerca di tagliare i sussidi per l’acquisto di carburanti, ma la reazione dei cittadini e dei sindacati ha sempre costretto il governo federale a precipitose retromarce. Potrebbe essere così anche questa volta, a meno che il presidente Jonathan non dimostri di essere abbastanza forte da riuscire a gestire due emergenze contemporaneamente in un paese sempre in bilico tra il caos e il decollo economico.