Fuori dal carcere, ma non in libertà. Arresti domiciliari per Luigi Sartor, ex giocatore di Parma, Inter e Roma, arrestato il 19 dicembre nell’ambito dell’inchiesta sul calcio scommesse perché considerato dagli inquirenti ‘il contabile’ del gruppo dei bolognesi capeggiato da Beppe Signori e l’anello di congiunzione con il gruppo di Singapore, che avrebbe gestito tutte le scommesse in Italia e anche all’estero. Giovedì scorso, l’ex calciatore era stato interrogato per quasi sei ore dal pm di Cremona Roberto di Martino, che aveva dato parere favorevole alla scarcerazione. Di parere opposto, però, il gip Salvini, che oggi ha optato ‘solo’ per l’alleggerimento della misura di custodia cautelare a carico di Sartor: dalla cella, alla sua casa di Parma, con “divieto assoluto di comunicare sia personalmente sia via telefono con persone diverse dai difensori e dai familiari conviventi”.
Nella motivazione del provvedimento, il giudice per le indagini preliminari ha ricostruito la posizione di Sartor, specie per quanto riguarda gli obiettivi di ‘mercato’ dell’associazione a delinquere. Per Salvini, Sartor “ha ammesso di aver preso contatti tramite Luca Burini con persone di Singapore interessate ad acquistare una squadra di calcio in Italia. Tre di costoro, tra cui forse Tan Seet Eng, lo avevano anche raggiunto a Bologna nell’estate 2010. Sartor – ha continuato Salvini – aveva accettato l’incarico, attivandosi, a suo dire, per verificare la possibilità di acquistare il Modena. In relazione a tale ‘incarico’ aveva costituito una società in Svizzera (la Clever Overseas S.A.), creando a nome di tale società un conto presso una banca di Lugano, mentre altri conti di appoggio presso lo stesso istituto erano stati aperti da Giuseppe Signori, da Burini e da Ragone. Sul primo conto erano pervenuti da Singapore circa 600mila euro. L’affare non avrebbe avuto comunque buon esito e alcuni dei soggetti di Singapore sarebbero venuti personalmente in Svizzera per recuperare in contanti i loro soldi”.
Dopo aver esposto la tesi accusatoria, il gip ha ripercorso la linea difensiva dell’ex difensore, il quale “ha ammesso quasi integralmente i fatti materiali e le circostanze altamente indizianti riportate nell’ordinanza” ma “ha sostenuto di aver agito in buona fede, e cioè di essere stato convinto di aver intrapreso un’attività lecita, dei cui equivoci contorni si sarebbe reso conto, coì come Burini, solo in un secondo momento”.
Il giudice, però, ha creduto fino a un certo punto alle giustificazioni di Sartor, la cui buona fede – ha scritto Salvini – “anche a prescindere dal tenore inequivoco della conversazione con Bellavista, si colloca al di fuori di ogni criterio di credibilità”. Il motivo? Il gip lo specifica sempre nell’ordinanza che assegna agli arresti domiciliari Sartor, il quale “avrebbe preso contatti per un affare di notevole consistenza con soggetti di cui ignorava persino il nome, privi di biglietti da visita e di documenti e credenziali societarie e privi di sedi e di uffici”. Non solo. Il magistrato ha aggiunto anche che “Sartor e le persone a lui vicine, inoltre, non avrebbero ricevuto un mandato formale, né stipulato alcun contratto e nonostante ciò si sarebbero premurate di aprire società e conti in Svizzera, accettando di ricevere su di essi cifre ingenti di incerta provenienza. Una parte di tali somme sarebbe stata addirittura recuperata in contanti da soggetti di Singapore che a tal fine si erano recati personalmente in Svizzera. Nonostante ciò – ha scritto Salvini – , in seguito, gli stessi soggetti avrebbero inviato sul conto di Sartor altro denaro, almeno 200mila”.
Per il giudice, “non è un caso che davanti allo stesso gip Sartor abbia cercato di nascondere la disponibilità del conto in Svizzera e si sia risolto a rispondere in proposito e ad ammetterne l’esistenza solo quando, a seguito di una specifica domanda del giudice, si era reso conto che gli inquirenti erano ormai già a conoscenza dell’esistenza del conto stesso”. Questo dato di fatto – si legge nell’ordinanza – ha creato un “rafforzamento dei gravi indizi di colpevolezza” nei confronti di Sartor, “il cui peso all’interno del contesto associativo si è certamente accentuato”.
Per quanto riguarda le gare da truccare, inoltre, il gip di Cremona ha specificato anche altre cose riguardanti la posizione di Luigi Sartor, specie il suo rapporto con l’ex capitano del Bari Antonio Bellavista. “Da Burini – ha scritto Salvini – Sartor avrebbe avuto la notizia che la partita interessata era Inter-Lecce, che, a causa del risultato diverso da quello voluto, le persone di Singapore vantavano il diritto ad una restituzione e che lo stesso Sartor avrebbe dovuto attivarsi nei confronti dei debitori i quali avrebbero in precedenza garantito agli asiatici che la partita era ‘fatta’ in quanto truccata. Sartor, incaricato dalle persone di Singapore, tramite Burini, di contattare un determinato numero di telefono – è la ricostruzione del giudice – , aveva chiamato tale utenza e aveva così ‘scoperto’ di essersi messo in contatto con Antonio Bellavista, legato alla squadra del Lecce. Era quindi intercorsa con Bellavista, anch’egli tratto in arresto nella prima tranche delle indagini, la conversazione in data 24 marzo sul cui significato Sartor non ha comunque fornito particolari chiarimenti o una versione alternativa a quella esposta nell’ordinanza stessa, chiaramente legata alla consapevolezza da parte di entrambi di aver partecipato ad un grave tentativo di manipolazione di una partita importante non andato a buon fine con rischiose conseguenze nei confronti dei finanziatori asiatici”.
Sia per la tentata (e presunta) acquisizione del Modena calcio, sia per il rapporto tra Sartor e Bellavista, quindi, per il gip Salvini l’ex difensore è da considerare il “garante del buon andamento degli affari, per conto del gruppo di scommettitori asiatici”. Nella sua ordinanza, del resto, il giudice definisce significativa “la contestualità tra l’invio a Sartor di oltre 300mila e le partite Inter-Lecce, Benevento-Pisa e Brescia-Lecce che sarebbero state manipolate dal gruppo di Bologna dopo incontri con Erodiani e con il coinvolgimento di Bellavista sino a poter garantire agli ‘asiatici’ che avrebbero potuto finanziare in sicurezza l’operazione, investendo appunto 300mila euro”. E ancora, scrive sempre Salvini, “in seguito, gli stessi soggetti di Singapore avrebbero inviato altri 200mila euro e ancora successivamente, nel gennaio 2011, Sartor e Ragone avrebbero fatto un viaggio a Singapore. Qui le persone di Singapore avrebbero cominciato a far riferimento a ‘scommesse’ in Italia consegnando a Sartor un cellulare con una scheda inglese per comunicare con loro”. Un rapporto, quindi, che sarebbe stato destinato a continuare, come si legge nel provvedimento del gip.”A partire da marzo del 2011 – è scritto sempre nell’ordinanza – Sartor avrebbe ricevuto sul cellulare che gli era stato consegnato una serie di messaggi, anche da sconosciuti, che facevano riferimento a scommesse e anche ad una somma di 300mila euro. La persona che aveva telefonato a Sartor per avere la ‘garanzia’ sulla partita per la quale sarebbe stata scommessa una somma così elevata poteva essere uno dei due commercialisti legati a Signori (quindi Bruni o Giannone)”.
In pratica, quindi, in questo quadro per il gip non si può “parlare di venir meno dei gravi indizi di colpevolezza ma piuttosto del loro rafforzamento”. Ne esce confermato – ha scritto Salvini – il suo “ruolo definito, da altri indagati di ‘contabile’ per conto del gruppo” e, come emerge ora più chiaramente, di gestore, pur con alterne vicende, di un ‘ramo d’azienda’ del cartello di Singapore tramite gli strumenti societari e bancari approntati in Svizzera. “Nonostante ciò – ha concluso il gip – anche per non creare eccessive disomogeneità con la situazione di altri indagati, può essere accolta la richiesta subordinata di applicazione degli arresti domiciliari” perché non è possibile la libertà piena “sia in ragione del rischio di reiterazione di analoghe condotte illecite (che nel contesto associativo di cui faceva parte Sartor sono addirittura proseguite dopo l’esecuzione della prima misura cautelare del giugno 2011), sia per la necessità di evitare per quanto possibile in questa fase rischi di inquinamento probatorio grazie a dichiarazioni di comodo o concordate con gli altri soggetti che hanno in parte condiviso con Sartor l’operazione in Svizzera e i contatti con gli uomini di Singapore”. Diverso, ovviamente, il punto di vista dei difensori di Sartor, che all’uscita dalla Procura hanno dichiarato che il loro assistito “non ha confessato nulla perché non c’era nulla da confessare”.