“I Padani non perdonano”. Aveva ragione Umberto Bossi: i suoi elettori non sono teneri “con i traditori”. E se nel 1994 il “nemico” era Silvio Berlusconi, adesso la base del Carroccio è in rivolta proprio contro il Senatùr e gli uomini a lui più vicini. Nel 25esimo anno di vita del partito il Capo è costretto a cedere il passo a Roberto Maroni, l’unico che sembra poter garantire alla Lega i voti necessari a salvarsi e non sparire nell’oblio delle macchiette politiche, alla stregua di uno Scilipoti qualsiasi. Dalla vicenda dei ministeri a Monza alla riapertura dell’improbabile parlamento Padano, dalla fuga di notte da Calalzo di Cadore per sfuggire alle proteste degli amministratori veneti leghisti agli insulti insulsi contro Napolitano in dodici mesi i vertici della Lega hanno mostrato il lato peggiore del partito di lotta ormai diventato di governo. E il tentativo di crearsi una nuova verginità, con la scelta di occupare i banchi dell’opposizione nel governo di Mario Monti, sembra essere destinato a fallire. Perché la base leghista (che ancora deve riprendersi dalle immagini di Bossi imboccato da Renata Polverini in piazza a Roma) si sente profondamente tradita e presa in giro, tanto che gli ultimi sondaggi parlano di un crollo verticale delle preferenze al cinque barra otto per cento. Si era già visto alle amministrative di maggio, quando nella roccaforte di Varese il sindaco Attilio Fontana (eletto nel 2006 al primo turno con il 57,8%) è stato costretto al ballottaggio, riconfermato con uno scarto di neanche tremila voti. E se alla base leghista è stato messo il bavaglio, chiudendo agli interventi liberi tanto ai microfoni di Radio Padania che nei forum ufficiali, il fantomatico cerchio magico non è riuscito a bloccare la fronda interna. Guidata da Roberto Maroni. Più per nomina che per volontà.
“Bobo presidente del consiglio”, è l’irriverente striscione che accoglie Bossi sul Sacro prato di Pontida. “Barbari sognanti”, lo slogan che appare alla festa dei popoli a Venezia in onore alle parole del ministro dell’Interno che così aveva definito il popolo leghista. Acclamato dalla base, sostenuto da un esercito sempre più numeroso di amministratori del Carroccio (a cominciare dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, che un giorno sì e l’altro pure ha attaccato le scelte del governo Berlusconi fino a prendersi dello “stronzo” da Bossi) Maroni però non si mette alla guida dell’esercito e aspetta che sia il Cavaliere a trascinare il Senatùr a fondo. E così è stato. Del resto la base chiedeva solo una cosa, da anni: lasciare il governo, non sostenere più quello che lo stesso Capo aveva definito il “mafioso di Arcore”.
L’evidenza della rabbia e dello scontro interno si ha in ottobre nella città madre del Carroccio: Varese. Con Bossi che vieta il voto e impone un segretario amico. Ed esplode la rivolta. Molti annunciano di voler lasciare il partito. Ma il Cerchio magico rincara la dose e con il Capo parla di “proteste fasciste”. La crepa diventa ancora più profonda. Lo scontro è ormai frontale. Poche settimane e arriva in Parlamento: il Carroccio deve rinnovare il capogruppo a Montecitorio. Il maroniano Giacomo Stucchi è il favorito, ma è costretto a fare un passo indietro dallo stesso ministro che preferisce ancora una volta rimandare lo scontro. E così viene confermato Marco Reguzzoni, cerchista di ferro. Maroni rassicurò i suoi: la base vuole che stacchiamo la spina al governo Berlusconi, ma l’esecutivo del Cavaliere a ottobre era riuscito a salvarsi dall’ennesima crisi paventata dalle spaccature nel Pdl dopo essere stato battuto alla Camera l’11 in una votazione sul rendiconto generale dello Stato. Insomma: “Meglio aspettare, è questione di settimane”.
Di fatto a inizio novembre si apre una nuova crisi di governo, questa volta definitiva, che costringe “il mafioso di Arcore” a lasciare Palazzo Chigi. Con l’insediamento di Mario Monti e la decisione della Lega di sedersi da sola all’opposizione inizia l’era Maroni. “L’alleanza con il Pdl non c’è più”, dice l’ex ministro. Berlusconi tenta di smentire e per giorni annuncia un incontro con Bossi. Che però non ci sarà mai. Il Senatùr rimane chiuso in via Bellerio, si mostra poco e parla ancora meno. E’ Bobo a guidare i primi mesi del nuovo carroccio di lotta, nel tentativo di recuperare qualche voto in vista delle prossime elezioni. L’incoronazione ufficiale molto probabilmente avverrà a Milano il 22 gennaio, durante la manifestazione che sancirà il ritorno in piazza della Lega. Intanto l’ex titolare del Viminale sta attraversando il nord. A fine dicembre è andato a Treviso, feudo del segretario veneto Gian Paolo Gobbo che fino al giorno prima ha tentato di soffocare ogni anelito maroniano, per parlare con gli imprenditori annunciando che “il carroccio di lotta è tornato”. E il 29 dicembre alla Berghem Frecc, sul palco sono saliti solo Bossi, Calderoli e Maroni. Il primo ha dato del “terrone” a Giorgio Napolitano. Il secondo ha suggerito a Berlusconi di non essere “l’utile idiota del governo Monti”. Il terzo è stato acclamato dalla solita base al solito grido Bobo premier. E ha espresso l’unico concetto politico meritevole d’attenzione: “La Lega alle elezioni al Nord da sola è più forte”. Più che il ritorno della Lega di lotta sembra la nascita di quella di Maroni. Bossi non sarà mai defenestrato, ma la sua epoca è ormai conclusa e anche lui sa bene di doversi fare da parte se vuole far sopravvivere a se stesso il partito che ha creato.
Politica
Lega, con il 2011 si chiude l’era di Bossi
La sopravvivenza del partito passa per Maroni
Dai ministeri a Monza alla riapertura del Parlamento Padano: negli ultimi dodici mesi le iniziative del Carroccio hanno mostrato tutti i limiti del partito ormai divenuto di governo. E la spaccatura interna si è fatta sempre più profonda, con la base che invoca da mesi la guida di Bobo. Ora il Senatùr è costretto a cedere, per non rischiare di veder sparire il movimento fondato 25 anni fa
“I Padani non perdonano”. Aveva ragione Umberto Bossi: i suoi elettori non sono teneri “con i traditori”. E se nel 1994 il “nemico” era Silvio Berlusconi, adesso la base del Carroccio è in rivolta proprio contro il Senatùr e gli uomini a lui più vicini. Nel 25esimo anno di vita del partito il Capo è costretto a cedere il passo a Roberto Maroni, l’unico che sembra poter garantire alla Lega i voti necessari a salvarsi e non sparire nell’oblio delle macchiette politiche, alla stregua di uno Scilipoti qualsiasi. Dalla vicenda dei ministeri a Monza alla riapertura dell’improbabile parlamento Padano, dalla fuga di notte da Calalzo di Cadore per sfuggire alle proteste degli amministratori veneti leghisti agli insulti insulsi contro Napolitano in dodici mesi i vertici della Lega hanno mostrato il lato peggiore del partito di lotta ormai diventato di governo. E il tentativo di crearsi una nuova verginità, con la scelta di occupare i banchi dell’opposizione nel governo di Mario Monti, sembra essere destinato a fallire. Perché la base leghista (che ancora deve riprendersi dalle immagini di Bossi imboccato da Renata Polverini in piazza a Roma) si sente profondamente tradita e presa in giro, tanto che gli ultimi sondaggi parlano di un crollo verticale delle preferenze al cinque barra otto per cento. Si era già visto alle amministrative di maggio, quando nella roccaforte di Varese il sindaco Attilio Fontana (eletto nel 2006 al primo turno con il 57,8%) è stato costretto al ballottaggio, riconfermato con uno scarto di neanche tremila voti. E se alla base leghista è stato messo il bavaglio, chiudendo agli interventi liberi tanto ai microfoni di Radio Padania che nei forum ufficiali, il fantomatico cerchio magico non è riuscito a bloccare la fronda interna. Guidata da Roberto Maroni. Più per nomina che per volontà.
“Bobo presidente del consiglio”, è l’irriverente striscione che accoglie Bossi sul Sacro prato di Pontida. “Barbari sognanti”, lo slogan che appare alla festa dei popoli a Venezia in onore alle parole del ministro dell’Interno che così aveva definito il popolo leghista. Acclamato dalla base, sostenuto da un esercito sempre più numeroso di amministratori del Carroccio (a cominciare dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, che un giorno sì e l’altro pure ha attaccato le scelte del governo Berlusconi fino a prendersi dello “stronzo” da Bossi) Maroni però non si mette alla guida dell’esercito e aspetta che sia il Cavaliere a trascinare il Senatùr a fondo. E così è stato. Del resto la base chiedeva solo una cosa, da anni: lasciare il governo, non sostenere più quello che lo stesso Capo aveva definito il “mafioso di Arcore”.
L’evidenza della rabbia e dello scontro interno si ha in ottobre nella città madre del Carroccio: Varese. Con Bossi che vieta il voto e impone un segretario amico. Ed esplode la rivolta. Molti annunciano di voler lasciare il partito. Ma il Cerchio magico rincara la dose e con il Capo parla di “proteste fasciste”. La crepa diventa ancora più profonda. Lo scontro è ormai frontale. Poche settimane e arriva in Parlamento: il Carroccio deve rinnovare il capogruppo a Montecitorio. Il maroniano Giacomo Stucchi è il favorito, ma è costretto a fare un passo indietro dallo stesso ministro che preferisce ancora una volta rimandare lo scontro. E così viene confermato Marco Reguzzoni, cerchista di ferro. Maroni rassicurò i suoi: la base vuole che stacchiamo la spina al governo Berlusconi, ma l’esecutivo del Cavaliere a ottobre era riuscito a salvarsi dall’ennesima crisi paventata dalle spaccature nel Pdl dopo essere stato battuto alla Camera l’11 in una votazione sul rendiconto generale dello Stato. Insomma: “Meglio aspettare, è questione di settimane”.
Di fatto a inizio novembre si apre una nuova crisi di governo, questa volta definitiva, che costringe “il mafioso di Arcore” a lasciare Palazzo Chigi. Con l’insediamento di Mario Monti e la decisione della Lega di sedersi da sola all’opposizione inizia l’era Maroni. “L’alleanza con il Pdl non c’è più”, dice l’ex ministro. Berlusconi tenta di smentire e per giorni annuncia un incontro con Bossi. Che però non ci sarà mai. Il Senatùr rimane chiuso in via Bellerio, si mostra poco e parla ancora meno. E’ Bobo a guidare i primi mesi del nuovo carroccio di lotta, nel tentativo di recuperare qualche voto in vista delle prossime elezioni. L’incoronazione ufficiale molto probabilmente avverrà a Milano il 22 gennaio, durante la manifestazione che sancirà il ritorno in piazza della Lega. Intanto l’ex titolare del Viminale sta attraversando il nord. A fine dicembre è andato a Treviso, feudo del segretario veneto Gian Paolo Gobbo che fino al giorno prima ha tentato di soffocare ogni anelito maroniano, per parlare con gli imprenditori annunciando che “il carroccio di lotta è tornato”. E il 29 dicembre alla Berghem Frecc, sul palco sono saliti solo Bossi, Calderoli e Maroni. Il primo ha dato del “terrone” a Giorgio Napolitano. Il secondo ha suggerito a Berlusconi di non essere “l’utile idiota del governo Monti”. Il terzo è stato acclamato dalla solita base al solito grido Bobo premier. E ha espresso l’unico concetto politico meritevole d’attenzione: “La Lega alle elezioni al Nord da sola è più forte”. Più che il ritorno della Lega di lotta sembra la nascita di quella di Maroni. Bossi non sarà mai defenestrato, ma la sua epoca è ormai conclusa e anche lui sa bene di doversi fare da parte se vuole far sopravvivere a se stesso il partito che ha creato.
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Fuga da Israele a causa della guerra: negli ultimi due anni gli emigrati hanno superato gli immigrati. “Non succedeva dagli Anni 80”
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Europa e Usa sono due facce della stessa medaglia, l’Occidente. Hanno comuni interessi e devono avere comuni obiettivi se non vogliamo indebolirci: lavoreremo bene con l’amministrazione Trump. Europa e America devono rimanere alleate: è il nostro destino, è la nostra forza". Così, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, riferendosi alle ingerenze di Musk nelle politiche interne dei Paesi europei. "A oggi Musk - sottolinea - è un privato cittadino e un grandissimo imprenditore, quando sarà al governo è ovvio che dovrà misurare le sue dichiarazioni".
"Poi, per quanto riguarda il sistema di comunicazioni satellitari della sua azienda - aggiunge Tajani - è un altro discorso, una scelta tecnologica che deve fare lo Stato italiano. Io non ho preclusioni a prescindere, una cosa è Musk, altra la sua azienda. Se è in grado di fornire i migliori servizi, perché dire no a priori? Vedremo, ci saranno valutazioni, si sceglierà il meglio per garantire i servizi necessari alle nostre amministrazioni".
Roma, 9 gen. (Adnkronos) - "Sono stati giorni difficili, abbiamo lavorato di continuo, li abbiamo trascorsi dedicando al caso ogni sforzo. Oggi possiamo dire che c’è stato un lavoro di squadra fra governo, intelligence, diplomazia e anche con la famiglia che è stata bravissima a gestire la situazione e il silenzio stampa. E c’è stato un intervento diretto della premier, che ha partecipato a tutte le riunioni. Poi la situazione si è sbloccata per davvero l’ultima notte. La discrezione, il lavoro incessante portano risultati". Lo ha detto al Corriere della Sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani parlando del ritorno in Italia, dopo la detenzione in Iran, di Cecilia Sala, spiegando che gli stessi sforzi, "massimi", riguardano "ogni cittadino italiano. E se è possibile anche i risultati, come in Iran si vide nel caso Piperno. La Farnesina si impegna per ogni italiano all’estero in difficoltà, questo era un caso particolarmente delicato".
"Conosco il papà di Cecilia, è chiaro che ho condiviso la sua preoccupazione di padre, ma ripeto: per noi tutti gli italiani che hanno bisogno di aiuto sono uguali - prosegue il vice premier - C’è stato un dialogo continuo, e ripeto, la nostra intelligence, la diplomazia, il governo hanno fatto il massimo. Essere un Paese come il nostro che ha rapporti con tutti i Paesi dell’area del Medio Oriente, anche con quelli di cui non condivide politiche e azioni, rende possibile agire con efficacia anche di fronte a grandi difficoltà. Non a caso noi abbiamo tenuto aperti i rapporti politici con l’Iran, abbiamo tenuto aperta l’ambasciata in Siria, dove andrò domani dopo che si sarà riunito il Quintetto. Ribadirò alle nuove autorità siriane l’importanza di un processo politico inclusivo che garantisca le libertà fondamentali di tutti i siriani e riconosca e valorizzi il ruolo dei cristiani come cittadini con pienezza di diritti, e annuncerò anche il primo pacchetto di aiuti per la cooperazione".
Quanto a un eventuale promessa di "scambio" per la liberazione dell’ingegnere iraniano Abedini, Tajani ribadisce che "sono due cose separate, lo hanno spiegato anche le autorità iraniane. Il caso Abedini è trattato dalle autorità giudiziarie italiane, vedremo cosa succederà. Poi, eventualmente, sarà di competenza del ministro della Giustizia. Cecilia Sala era invece una cittadina italiana accusata di aver violato le leggi locali, e su quello abbiamo lavorato. Abbiamo visto un’opposizione responsabile. Ovviamente abbiamo tenuto aperti canali di informazione, e il sottosegretario Mantovano ha riferito al Copasir. Ma sì, ciascuno ha fatto la propria parte".
Riguardo l'influenza sulla liberazione della Sala della visita lampo della premier Giorgia Meloni da Trump, il 4 gennaio, Tajani dichiara che "ha avuto un effetto politico che è stato affiancato dal lavoro politico, generale, costruito per far capire che l’Italia parlava con gli Stati Uniti, ma non c’è stata una conseguenza diretta sulla liberazione di Sala. È possibile che l’accelerazione per la liberazione della giornalista sia anche avvenuta in questi giorni prima dell’insediamento ufficiale di Trump, che la tempistica sia stata favorevole. Quella era una missione della premier. Io andrò negli Usa quando la nuova amministrazione si sarà insediata, incontrerò il mio omologo Rubio, lavorerò ai miei dossier. Se sarò al giuramento di Trump? Quella è una cosa interna americana, non di governo. Ci sarà tempo, tratteremo tutti i dossier aperti a tempo debito a partire da quello sui dazi".
Londra, 9 gen. (Adnkronos) - Il miliardario Elon Musk ha tenuto colloqui privati con gli alleati sulla rimozione del primo ministro britannico Keir Starmer dal suo incarico prima delle prossime elezioni generali. Lo scrive il Financial Times, che cita fonti secondo cui il proprietario di X stia sostenendo movimenti politici britannici alternativi per forzare un cambio di governo. "Secondo Musk, la civiltà occidentale stessa è minacciata", avrebbe dichiarato una delle fonti citate dal Ft.
Sana'a, 9 gen. (Adnkronos) - Aerei da caccia americani e britannici hanno effettuato attacchi aerei nella capitale dello Yemen, Sanaa, nonché nella città portuale di Hodeidah e nel governatorato di Amran, a nord della capitale. Lo riportano la televisione Al-Masirah controllata dagli Houthi e l'agenzia di stampa yemenita Saba.
Ramallah, 9 gen. (Adnkronos) - Hamas ha rivendicato l'uccisione, nella sparatoria di lunedì in Cisgiordania, dei tre israeliani Rachel Cohen, Aliza Reiss ed Elad Yaakov Winkelstein. Le tre persone sono state uccise e altre otto sono rimaste ferite, quando un terrorista ha aperto il fuoco su un autobus e due auto nei pressi dell'insediamento di Kedumim.
Washington, 9 gen. (Adnkronos/Afp) - Almeno cinque persone sono morte nei violenti incendi che infuriano da ieri intorno a Los Angeles e che ora minacciano il distretto di Hollywood, i cui residenti hanno ricevuto l'ordine di evacuare. È stata ordinata l'evacuazione della zona mentre ieri sera le fiamme hanno cominciato a divorare le colline, a poche centinaia di metri dall'Hollywood Boulevard e dal famoso Teatro Cinese.
Un altro incendio è scoppiato in serata anche nel vicino quartiere di Studio City, preoccupando le autorità. Circa 1.500 edifici sono stati distrutti e più di 100.000 abitanti sono stati costretti a fuggire di fronte alle fiamme. Le autorità temono di scoprire altre vittime. Los Angeles è stata spazzata da “venti della forza di un uragano combinati con condizioni di estrema siccità”, ha dichiarato il sindaco Karen Bass durante una conferenza stampa ieri sera, spiegando in questo modo la causa degli incendi.
Washington, 9 gen. (Adnkronos) - Sono circa 7.500 i vigili del fuoco impegnati per domare le fiamme che stanno devastando l'area di Los Angeles. Lo ha reso noto su X il governatore della California Gavin Newsom, precisando che il personale impiegato contro gli incendi, che hanno ucciso finora 5 persone, proviene dal bacino locale che da altre area degli Stati Uniti.