Se il sindaco di Siena, cioè, di fatto, il socio forte del Monte dei Paschi, invoca pubblicamente “discontinuità” nella gestione della banca, se parla di “agire rapidamente per rinnovare la classe dirigente”, allora significa che i giochi sono fatti per davvero, che dopo tante voci i vertici del terzo istituto di credito italiano hanno i giorni contati. E infatti, a poche ore di distanza dalle dichiarazioni di Franco Ceccuzzi, il primo cittadino senese (targato Pd, com’è tradizione locale), al Monte è arrivata la prima scossa. Lo sfogo di Ceccuzzi è stato pubblicato il 29 dicembre e ieri le indiscrezioni circolate alla vigilia di San Silvestro sono state confermate ufficialmente. Se ne va il direttore generale di Mps, Antonio Vigni, che sarà sostituito da Fabrizio Viola, l’amministratore delegato della Bper, la Popolare dell’Emilia Romagna con base a Modena e quotata in Borsa.

IL CAMBIO della guardia è previsto entro metà mese. Questo, però, è solo l’inizio, perchè a Siena viene ormai data per sicura (nel giro di qualche settimana) anche l’uscita del presidente Giuseppe Mussari. Il ribaltone è cominciato al piano superiore, alla Fondazione Mps, l’ente espressione della politica locale che con sempre maggiore difficoltà tiene sotto chiave il controllo della banca. A luglio è stato silurato il direttore generale della Fondazione, Marco Parlangeli.

E adesso, secondo molti osservatori, traballa anche la poltrona di Gabriello Mancini, il presidente dell’ente. Piazza pulita, insomma. Con questa raffica di dimissioni eccellenti cala il sipario su un’epoca di affari, azzardi e sogni infranti. Anni in cui i notabili di una cittadina di provincia si sono ostinati a dettar legge su un colosso bancario con quasi 3 mila filiali in tutta Italia e oltre 30 mila dipendenti. L’inizio della fine è stata l’acquisizione di Antonveneta l’istituto comprato a peso d’oro (9 miliardi) nel novembre del 2007, proprio mentre stava per esplodere la grande bolla della finanza. Poi è arrivata la crisi del subprime e infine, nei mesi scorsi, hanno cominciato a traballare addirittura l’euro e titoli di stato. Per non parlare della recessione che ha mandato in rosso i conti di molte aziende clienti. Davvero troppo per una banca che già non era il massimo dell’efficienza.

Peggio ancora: nel tentativo di migliorare il conto economico tra il 2009 e il 2010 il Monte ha fatto incetta di Btp che quest’estate, con la crisi del debito sovrano, si sono trasformati in una zavorra giudicata a rischio dalle autorità di controllo europee. Risultato: i conti restano deludenti, il titolo in Borsa è precipitato e l’authority continentale chiede a Mps di rafforzare il patrimonio di 3, 2 miliardi. Serve un aumento di capitale, ma la banca senese ne ha già varato uno da 2 miliardi l’estate scorsa. Per mantenere il 50, 1 per cento, cioè il controllo, la Fondazione ha fatto i salti mortali, indebitandosi e cedendo attività. Se nei prossimi mesi andrà in onda l’aumento bis, è facile prevedere che l’ente presieduto da Mancini sarà costretto ad andare in minoranza. Tanto più che la Fondazione, colpita anche dal crollo in Borsa dei titoli Mps, già adesso fatica a far quadrare i conti e in questi giorni ha siglato una moratoria sui debiti con le banche creditrici. Si apre un’epoca nuova, quindi, ma Siena, anche sotto la fatidica soglia del 50 per cento, non può permettersi di mollare la presa su una banca che è il motore dell’economia locale. Bisogna cambiare per continuare a comandare. Ed ecco che è partito il ribaltone.

PER SOSTITUIRE Vigni, che ha fatto 40 anni di carriera tutta interna al Monte, arriva un manager esterno come Viola. Il nuovo direttore generale, bocconiano, classe 1958, si è fatto le ossa (e anche parecchi nemici) al vertice di banche popolari alle prese con riassetti interni e lotte intestine (Vicenza, Milano, Emilia). A prima vista sembra un buon allenamento in vista di una partita complicata come quella che si giocherà sul Monte. I sindacati, che temono tagli di personale, hanno già criticato la nomina. Tagli? Si vedrà. Intanto il cambio della guardia potrebbe tradursi in maggiori spese per la banca. Viola infatti alla Popolare dell’Emilia guadagnava circa 1, 8 milioni l’anno e prenderà il posto di Vigni che nel 2010 è arrivato a 1, 4 milioni. Difficile immaginare che il nuovo arrivato accetti un taglio dello stipendio.

da Il Fatto Quotidiano del 3 gennaio 2012

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