La notizia è arrivata pochi giorni fa, per il solito fine anno col botto. Dalla prossima estate gli eventi culturali che animeranno l’estate in città potrebbero diventare a pagamento. Il Comune, emanando l’avviso pubblico per raccogliere le proposte di associazioni e operatori culturali in vista dell’estate 2012, ha anche aggiunto che “per agevolare la sostenibilità economica dei progetti, è preferibile prevedere un biglietto d’ingresso”.
Insomma è finita la pacchia delle serate gratis all’aperto durante le caldi notti d’estate. Una parabola che dopo essersi alzata ed impennata a metà anni duemila, si chiude mestamente al ribasso, schiantandosi contro una desolante realtà. Quella della crisi economica che si riverbera subito sul superfluo, almeno per gli amministratori del bene pubblico: cioè la cultura.
E per cultura non c’è bisogno di evocare qualche barbosa lezioncina da trespolo, ma basta ricordare un bel concerto gratuito magari dove piccole e sconosciute band possono mostrarsi, esibirsi e farsi conoscere. Giusto per fare un esempio, senza necessariamente elogiare la sfavillante dimensione estetica e psicologica del gratis, ma d’ora in avanti o si sceglierà di versare un obolo obbligatorio in ingresso, che so, a vicolo Bolognetti, villa Mazzacorati o Botanique, oppure ci sarà la corsa alle panchine.
Una transumanza, con o senza cono gelato (probabilmente senza, vista la crisi), per le vie del centro, per i parchi e i giardini ad osservare i nobili fruitori oltre la siepe, al di là del muro di chi può permetterselo. Un po’ come quel Benigni in piazza Maggiore nel luglio 2011, mentre legge Dante e quasi ci sono più persone oltre le transenne e le tribune oscure, lì solo per occultare la silhouette dello showman, pronte ad imprecare sul costo del biglietto d’entrata.
Si chiude un’epoca storica che era iniziata (a pagamento, sia mai, ma con poche migliaia di lire) con gli anni ottanta di Bologna Sogna. L’assessore alla cultura era il socialista Nicola Sinisi, una spruzzatina di barocco craxismo anche in città con da un lato i cortili dei musei aperti per concerti, mostre o proiezioni; dall’altro l’arena Puccini di via Serlio a lanciare comici ed artisti con musical di successo da tutto esaurito sera dopo sera.
Gli assessori alla Cultura che sono seguiti (Concetto Pozzati, Roberto Grandi, Marina Deserti – comunque nomen omen e – Angelo Guglielmi – suo il Bé con il logo di una pecora) hanno continuato a portare avanti l’idea di un’estate culturale viva, dove la città in primo luogo diventasse spazio aperto e gratuito a disposizione di beni pubblici e collettivi come l’arte e la cultura.
Da buona penultima è arrivata Nicoletta Mantovani di cui mai si sapranno le intenzioni (la giunta Delbono non ebbe nemmeno il tempo di compiere un giro di boa annuale) se non le ispirazioni verso la politica dei grandi eventi. Ultimo, l’assessore Alberto Ronchi che arrivava con l’appoggio e il pedigree dall’area Pozzati, non esente da colpe vista la mancanza di un’idea complessiva e chiara della cultura in città (d’estate come d’inverno) ma che si ritrova a barcamenarsi con una delle peggiori crisi economiche dell’ultimo trentennio.
Chiusi i rubinetti pubblici, cancellata la gratuità, rimane un’unica reazione: la clandestinità o l’underground. Il cortile di casa che si trasforma in palco teatrale, il giardinetto all’angolo che diventa pista di ballo, il parco sui colli che senza che nessuno lo sappia si fa cinema en plein air soltanto con il passaparola tra decine di amici contro un muro di una vecchia cascina come si guardavano certi vecchi Godard e Resnais quarant’anni fa. Niente brindisi tintinnanti e viaggi mondiali, ma una bella luna gigante da osservare illimitatamente senza pagare un euro.