Il vice di Manganelli: "Le camere di sicurezza sono troppo poche e non garantiscono la dignità di chi vi dovrebbe essere rinchiuso". La replica del Guardasigilli: "Sono norme concordate totalmente con il ministro dell'Interno, alla presenza dei vertici di Polizia"
Ancor prima di entrare in vigore, il decreto svuota-carceri mette in crisi i rapporti tra la polizia e il ministero della Giustizia. Il punto di rottura sono le camere di sicurezza, che secondo la nuova legge ospiteranno sino al giudizio direttissimo chi viene arrestato in flagranza di reato e che, quindi, non passerà più dai penitenziari. Su tale norma, il vice capo della polizia Francesco Cirillo oggi ha espresso dure critiche durante la sua audizione davanti alla Commissione Giustizia del Senato (dove si sta esaminando il provvedimento), provocando la reazione piccata del Guardasigilli Paola Severino.
“Le camere di sicurezza sono troppo poche, 1057 in tutto, e non garantiscono la dignità di chi vi dovrebbe essere rinchiuso” ha detto Cirillo, secondo cui, proprio per questo motivo, “i detenuti stanno meglio nelle carceri”. Il vice capo della polizia, inoltre, è entrato nel dettaglio del dato, specificando che “delle complessive 1057, 658 sono a disposizione dei carabinieri, 327 della polizia e 72 della Guardia di finanza”. La critica di Cirillo, tuttavia, non deriva tanto dal numero esiguo delle strutture, bensì dalla loro inadeguatezza. “Non ci sono servizi igienici, non c’è separazione tra uomini e donne e non sono organizzate in modo da consentire l’ora d’aria” ha detto il numero due della polizia alla Commissione Giustizia di Palazzo Madama. Tradotto: mancano i requisiti minimi per assicurare la dignità dei detenuti e adeguare le camere di sicurezza costa caro. Emblematico il caso di Torino, dove è stato speso poco meno di mezzo milione di euro per metterne a norma cinque. Altri soldi – secondo la ricostruzione di Cirillo -, inoltre, servirebbero per garantire maggiore pulizia e per il vitto dei detenuti, specie in considerazione del fatto che “i fondi l’anno scorso si sono fermati a 300mila euro”. La conclusione del vice di Manganelli è inequivocabile: “Non siamo né addestrati né organizzati per questo tipo di lavoro” ha detto Cirillo, il quale ha ricordato che la detenzione un compito della polizia penitenziaria, che polizia e carabinieri “nascono per agire nelle strade” e che bisogna anche tener presenti i numeri del personale di polizia (107.000) e carabinieri (114.000), che hanno un organico “fermo al 1989”.
La presa di posizione del numero due della polizia non è andata giù al ministro della Giustizia Paola Severino, che – riferendosi alla legge sulle camere di sicurezza – prima di entrare a sua volta in Commissione Giustizia ha replicato con un inequivocabile “sono norme concordate totalmente con il ministro dell’Interno, alla presenza dei vertici di Polizia”. Come dire: Manganelli&Co. sapevano tutto.
Contro Francesco Cirillo anche il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, che tramite il segretario generale Donato Capece ha espresso forti critiche sul concetto “i detenuti stanno meglio nelle carceri” espresso dal vice di Manganelli. “Evidentemente Cirillo non ha conoscenza diretta della grave emergenza penitenziaria, peraltro decretata da due anni dal Governo” ha dichiarato Capece, che ha sottolineato come “la norma inserita nel decreto legge 211 del 22.12.2011 non fa altro che ribadire una disposizione, da tempo impropriamente disattesa, del codice di procedura penale”. Nella fattispecie, Capece ha detto che “già oggi l’articolo 558 del Codice di procedura penale prevede che gli ufficiali o gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto in flagranza o che hanno avuto in consegna l’arrestato lo conducono direttamente davanti al giudice. La diffusa inosservanza di questa previsione -è il parere del segretario del Sappe – ha di fatto determinato il grave problema del sovraffollamento penitenziario, peraltro aggravato dalla presenza di circa il 42 per cento dei detenuti presenti che sono in attesa di giudizio”.