Un nuovo capitolo della lunga battaglia legale tra il colosso petrolifero statunitense Chevron e l’Ecuador è stato scritto dalla corte d’appello della provincia di Sucumbios. I giudici hanno confermato in appello la sentenza emessa a febbraio del 2011 dal tribunale di primo grado che condanna la Chevron a pagare 18,2 miliardi di dollari per i danni ambientali causati dalle attività estrattive della Texaco. Le due compagnie petrolifere si sono fuse nel 2001 e la Texaco ha portato in eredità anche questa lunghissima vicenda legale, iniziata con una causa intentata da 30 mila abitanti della provincia di Sucumbios.
“Confermiamo la sentenza di primo grado in ogni suo aspetto – hanno scritto i giudici di Lago Agrio, il capoluogo dell’Amazzonia ecuadoriana – Compresa la richiesta di scuse pubbliche”. Proprio la mancanza delle scuse, però, ha spinto i giudici a far più che raddoppiare il risarcimento chiesto alla Chevron: da 8,6 miliardi di dollari a 18,2.
La vicenda risale agli anni in cui la Texaco ha operato nell’Amazzonia ecuadoriana, tra il 1972 e il 1992. In quel periodo, secondo l’accusa, la multinazionale petrolifera avrebbe sversato nei fiumi e nell’ambiente qualcosa come 68 miliardi di litri di materiali tossici, petrolio e derivati dell’estrazione, avvelenando irrimediabilmente decine di corsi d’acqua, campi e tratti di foresta. Le organizzazioni ambientaliste ecuadoriane, che da anni si battono per avere il risarcimento dei danni, hanno documentato questa devastazione con quello che avevano battezzato il Toxic tour: un viaggio tra i villaggi dell’Amazzonia attorno al centro petrolifero di Lago Agrio, in mezzo a pozze di petrolio a cielo aperto, campi annichiliti dalle piogge acide e fiumi ormai vuoti di pesci.
La Texaco, però, si è difesa dicendo di aver speso nel corso degli anni novanta 40 milioni di dollari per la bonifica delle aree coinvolte e di aver siglato con il governo dell’Ecuador un accordo, nel 1998, che chiudeva ogni pendenza. Non l’hanno pensata così i giudici di Lago Agrio, la cui decisione è stata accolta con molto favore dal presidente ecuadoriano Rafael Correa: “Giustizia è stata fatta – ha detto Correa – In una battaglia legale che sembra Davide contro Golia”.
L’esecuzione della sentenza, però, non sarà così semplice. La Chevron, infatti, in un durissimo comunicato stampa, contesta le conclusioni dei giudici ecuadoriani. “La decisione di oggi è un altro esempio eclatante della corruzione e della politicizzazione del sistema giudiziario dell’Ecuador che ha afflitto questo caso fraudolento fin dall’inizio”, ha scritto la multinazionale, che continua accusando i giudici di essersi basati su prove false, fabbricate dai denuncianti, che avrebbero anche corrotto e intimidito i giudici. Secondo la Chevron, alle autorità ecuadoriane sono state fornite prove di tutto ciò ma non ci sono stati comportamenti conseguenti, mentre negli Usa “non meno di otto giudici federali hanno riconosciuto che il processo in Ecuador è stato alterato dal comportamento scorretto dei rappresentanti dei querelanti”.
Chevron, conclude il comunicato, “non crede che la sentenza sia applicabile da qualsiasi tribunale che rispetti la legge e lo stato di diritto. L’azienda continuerà a cercare di portare a giudizio i responsabili di questa frode”. Il cui punto essenziale, secondo la multinazionale statunitense, è che Texaco era in consorzio con Petroecuador e sarebbe proprio l’azienda petrolifera nazionale ecuadoria la responsabile della maggior parte dei danni. Il mese scorso, peraltro, Petroecuador ha stimato in 70 milioni di dollari i costi per completare le operazioni di pulizia dei siti inquinati. “Una cifra che contrasta con il risarcimento multimiliardario chiesto oggi”, dice Chevron. La battaglia legale, dunque, è ben lontana dall’essere conclusa.
di Joseph Zarlingo