Ci sono persone che lasciano un bel segno. É sempre più raro, ma succede. Padre Aldo Marchesini è l’esempio di come si può vivere la propria vita dedicandola interamente a quella degli altri, dei più deboli, dei più miserabili. Alla vita dei malati del Mozambico, per esempio. Si è ammalato lui stesso. Ha scoperto di essere infetto di Aids nel 2003, ma anzichè ritornare in Italia a farsi curare, ha preferito rimanere lì ad aiutare chi aveva più bisogno.
Questo fa di lei un eroe moderno.
C’è ben poco eroismo, perché anche in Mozambico mi curo ugualmente. Iniziai il trattamento in Italia, quando scoprii di essermi infettato. Faccio qui i controlli dei CD4 e della carica virale e ricevo dall’Italia le medicine ogni 4 mesi. Esiste anche qui la cura gratuita per tutti, da alcuni anni. Decisi di rendere noto che mi ero infettato per incoraggiare i malati a fare il trattamento e a non aver paura dello stigma sociale. Penso che fu molto utile allora, nel 2003, quando ancora la vergogna per la malattia era alta e la paura di morire molto forte.
Padre Marchesini, bolognese, settant’anni appena compiuti, fa il medico chirurgo, è direttore clinico e tutor della specializzazione in Chirurgia generale dell’Ospedale di Quelimane, lavora 12 ore al giorno, compreso il sabato, fra visite ambulatoriali e sala operatoria. E poi ci sono le emergenze. Sveglia alle 5 mattino del mattino, tutti i giorni. Ha pure un sito (www.padrealdo.net) che promuove, tra l’altro, le adozioni a distanza. La Congregazione di padre Aldo si trova a Quelimane, nella provincia della Zambesia, a nord della foce del fiume Zambesi. Alla periferia di Quelimane, come d’altronde in gran parte del Paese, la gente vive ancora in villaggi di mattoni di fango e tetti di paglia, senza luce elettrica e senza acqua. Le scuole, quando ci sono, sono baracche fatiscenti. Eppure è gente dignitosissima.
Da quanti anni lavora in Mozambico?
Dopo un primo viaggio preliminare nel 1970, vi ritornai definitivamente nel 1974. Sono esattamente 37 anni che vivo qui. La mia specializzazione accademica è Igiene e Medicina Tropicale, ma la mia competenza è sempre stata nell’ambito chirurgico. Non ho fatto la scuola di specializzazione: ho imparato sul posto, in Uganda con padre Ambrosoli, chirurgo e missionario comboniano che lì ha aperto un lebbrosario. Il resto l’ho studiato sui libri e scambiando esperienze con colleghi in Africa.
Di cosa si occupa la sua missione?
Collaboriamo con vari istituti od orfanotrofi, guidati da suore, cui cerchiamo di fornire aiuto spirituale. Poi c’è l’attività pastorale. Ci siamo molto impegnati nel cercare adozioni a distanza per permettere la sopravvivenza di quest’opera di soccorso agli orfani abbandonati. Nei primi anni gli orfani erano figli di vittime della guerra civile, durata oltre 10 anni. Adesso sono vittime dell’Aids. Nei villaggi al Nord che ho visitato mi hanno detto che la mortalità è di uno su cinque. Più alta nel primo anno di vita…
Anche dalle sue parti è così?
Sì, è più o meno così. Ho conosciuto Nassir, nativo e abitante della regione di Cabo Delgado, lui è fortunato perché guadagna 3000 meticais, l’equivalente di 50 euro, al mese, ha tre figli ma ne vuole avere altri 4 o 5 (allarga le braccia, in Africa non c’è limite al numero di figli. Tutti, ahimé, destinati a rimanere figli della miseria).
Non crede che, oltre alla campagna anti-Aids, bisognerebbe partire con una campagna che limiti il numero di nascite?
Sono paesi che non hanno la previdenza sociale, dunque i figli sono la loro unica risorsa… mi ha risposto Nassir: “Quando invecchio, qualcuno di loro si prenderà cura di me.” Esiste già da molti anni un programma gratuito che si chiama Planeamento familiar, in cui si possono seguire vari metodi anticoncezionali: pillola, depo-provera iniettabile e dispositivo intra-uterino.
Di quali aiuti vive?
Io vivo dello stipendio di medico che ricevo dal contratto governativo. Per le attività caritatevoli di aiuto ai poveri – che sono tantissime –contiamo sull’aiuto della Provvidenza che non fa mai mancare la collaborazione di moltissimi benefattori che danno piccole, a volte, grandi offerte.
Progetti per il futuro?
Sono impegnato nel programma di formazione di chirurghi ostetrici, una delle complicazioni più frequenti sono i parti complicati ed ostruiti, con altissima incidenza di fistole vescico-vaginali. Il feto rimane bloccato con la testa e i tessuti molli della vagina e della vescica rimangono senza circolazione e vanno in necrosi. Si forma un’escara che produce un orifizio che non chiude più. L’urina esce fuori continuamente dalla vescica direttamente in vagina e quindi lungo le gambe. Il programma vorrebbe formare un chirurgo capace di chiudere fistole semplici in ogni ospedale distrettuale (una sessantina in tutto il paese). Il prossimo viaggio è a Nampula, dove resterò 15 giorni. La cosa che più mi interessa nel dopo-Marchesini è che ci sia un buon numero di chirurghi mozambicani degnamente formati all’altezza di operare negli ospedali del paese.
di Januaria Piromallo
Nella foto: in Mozambico i bambini vanno a scuola per avere un pasto assicurato: una carota e una mela. Per ingrandire clicca qui