La crisi economica internazionale potrebbe aver fatto un bel favore al calcio italiano. Il nuovo governo spagnolo di centrodestra del premier Mariano Rajoy, che in campagna elettorale aveva promesso ai suoi elettori di mettere a posto i conti del Paese anche a costo di varare misure impopolari, ha deciso di rivedere pesantemente la politica fiscale da applicare a coloro che possono vantare redditi superiori ai 300 mila euro. Dal primo gennaio 2012, i benestanti di Madrid e dintorni dovranno pagare, tra le altre cose, fino al 6 per cento di tasse in più sulle loro entrate. Sotto scacco, in tal senso, anche i calciatori più rappresentativi della Liga, la Serie A spagnola, che fino a ieri (o quasi) godevano di privilegi che non avevano eguali nel resto d’Europa.
Per cinque anni, dal giugno 2005 al gennaio 2010, i club spagnoli hanno beneficiato della cosiddetta Ley Beckham, che ha permesso loro di muoversi sul mercato dei giocatori con proposte più allettanti della concorrenza. Il governo Aznar aveva approvato un decreto legge che prevedeva un’aliquota di tassazione “di favore” per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con reddito superiore ai 600 mila euro all’anno. La sterzata non è stata di poco conto. Dal 43 per cento si è passati in un amen al 24 per cento, per cinque anni e con effetti retroattivi fino al 2004. Da qui, il collegamento con Beckham, il quale allora era stato protagonista di un trasferimento extra lusso che lo aveva consegnato al pubblico del Real Madrid dopo stagioni straordinarie con la maglia del Manchester United.
Grazie alla Ley Beckham hanno raggiunto la Spagna alcuni grandi big del calcio mondiale. Robinho, Sergio Ramos, Diarra, Robben, Pepe, Sneijder, Huntelaar, Cristiano Ronaldo, Kakà, Benzema, ma anche Henry, Dani Alves e Ibrahimovic, soltanto per citare i più noti. Forti del regime fiscale agevolato, Real Madrid e Barcellona hanno fatto man bassa dei migliori talenti del pallone, offrendo loro ingaggi da nababbi, contando sul fatto che le altre società europee non avrebbero avuto i numeri per fare altrettanto. Per carità, le due corazzate spagnole fanno bene praticamente da sempre, ma certo il governo Aznar ha dato loro i mezzi per trovare uno spazio di tutto rispetto nel panorama calcistico internazionale. Un vantaggio più che evidente fino al gennaio 2010 e che da qualche giorno è stato praticamente annullato.
Già, perché anche se la Ley Beckham è stata ufficialmente messa da parte nel 2010 i suoi benefici hanno avuto effetto per tutti i contratti che erano stati firmati prima del gennaio dello stesso anno. Per la gioia dei campioni che avevano scelto la Liga nelle stagioni precedenti. Con l’abrograzione del decreto, invece, tutto è cambiato. I redditi superiori ai 600 mila euro sono stati tassati dal 45 al 49 per cento, a seconda delle regioni, in linea con la media europea. Ma ormai i giochi erano fatti e i campioni avevano già trovato casa.
Con la nuova manovra del governo Rajoy, lo scenario cambia ancora e questa volta in modo radicale. I fuoriclasse della Liga dovranno aprire il portafogli per consegnare alle casse dello Stato dal 52 al 56 per cento dei loro introiti. Più di quanto non viene prelevato ai giocatori che vivono e lavorano in Germania, Inghilterra, Francia e Italia. Per i francesi, ora è primato. Oggi guidano la classifica dei Paesi europei che possono proporre ai giocatori stipendi più alti per via di un’aliquota pari al 41 per cento che scatta per i redditi superiori ai 71 mila euro. L’Italia segue a ruota con il 45 per cento per introiti oltre i 75 mila euro. Almeno fino a quando il governo Monti non deciderà di varare la patrimoniale di cui si parla da settimane.