Non mi stupisce che la Commisione di esperti che doveva mettere a confronto gli stipendi dei parlamentari italiani con quelli stranieri perché fossero adeguati alla media di questi abbia avuto serie difficoltà. Infatti è sempre facile fare confronti superficiali, ma poi occorre che siano considerate le differenze sostanziali fra i trattamenti, che possono essere ben diversi.
Per spiegarmi ribalto il giochino proposto oggi da un giornale nazionale e cioè cosa farebbero gli italiani con i 16000 euro percepiti dai parlamentari fra emolumenti (11000) e benefit, e dico: quanto occorrerebbe a un modesto cittadino italiano per fare il parlamentare? E sì, perché per garantire democrazia e rappresentatività, lo Stato deve consentire a un qualsiasi cittadino, anche un meno abbiente, di accedere agli scranni parlamentari.
Orbene: un parlamentare che non sia di Roma e dintorni, volendo fare bene il suo lavoro dovrebbe risiedere a Roma per almeno tre giorni a settimana, quindi pagare una stanza d’albergo compresi i pasti ovvero – più economico – prendere una casa. Un bilocale in un quartiere decoroso della capitale costerà sui 1000 euro al mese. Quasi altrettanti dovrà spendere poi per affittare un ufficio nella sua circoscrizione, distante magari mille chilometri da Roma. Per questo, a parte l’assistente stipendiato/a dallo Stato, il parlamentare dovrà avere (e pagare) un/a segretario/a anche nel suo ufficio di circoscrizione e dovrà disporre di altri 2000 euro minimo per pagarlo anche in part-time, oltre che provvedere alle spese di riscaldamento, telefono, luce per gli altri due locali.
Va poi considerato che il parlamentare ha una famiglia, che dovrà mantenere. Teniamo conto che gli impiegati pubblici eletti in parlamento hanno l’obbligo di astenersi dal lavoro con la conservazione del posto, e che un modesto impiegato privato o un modesto libero professionista che voglia dedicarsi davvero all’attività parlamentare finisca col dover rinunciare a lavoro ed entrate per tutto il mandato parlamentare. Pertanto dovremmo aggiungere ai bisogni del parlamentare altri 2000-3000 euro netti (quello che guadagnava prima, perché non è pensabile che la sua famiglia riduca il suo livello di vita). Se poi si tratta di una donna parlamentare, questa dovrà assumere una domestica a ore e/o una babysitter che la sostituisca mentre è a Roma. Siamo in tutto a 9000 euro più lo stipendio dell’assistente parlamentare.
Ci sono poi altre spese “di rappresentanza e consulenza”. Ad esempio per il sito Internet, per traduzioni e interpretariato e per i soggiorni in sedi dove ci si rechi per presenziare personalmente a incontri di studio, disastri naturali, incontri con l’elettorato, etc. Oppure per pagare consulenti esperti per capire qualcosa di più sulla finanziaria (in genere 2000 articoli o commi) o su leggi tecniche (sanità, energia…) e poter quindi dare un voto a ragion veduta o poter scrivere progetti di legge senza strafalcioni. Si fa in fretta ad arrivare ad un totale di 16000 euro al mese.
Chiamando quindi in causa gli altri parlamentari europei, sarebbe importante sapere – oltre al tipo di attribuzioni (perché in uno Stato federale o con le autonomie molti compiti sono demandati ai parlamenti locali) che incidono sulla spesa – quali sono le voci comprese nei loro emolumenti. Infatti una soluzione per garantire che tutti possano ambire a partecipare alla vita politica sarebbe quella di avere un emolumento base decente (ad es 4-5000 euro, meno di quanto guadagnano tanti funzionari e dirigenti) e poter scalare tutte le altre spese (collaboratori, soggiorni, affitti, etc) da un budget mensile o annuale congruo. Ma dubito che si andrebbe sotto i 16000 euro a testa…
Qualcuno dirà: allora la soluzione è ridurre il numero dei parlamentari!
Per capire quali rischi si corrono, consideriamo che in Italia c’è un solo parlamentare nero, una sola araba e una sola deputata costretta sulla sedia a rotelle. Cosa accadrebbe tagliando a metà o ad un terzo il numero dei parlamentari? Non avremmo più nessun rappresentante di neri, arabi, disabili e chissà di quante altre minoranze. Quindi, prima di affermare che occorre tagliare spese o numeri, chiediamoci cosa accadrebbe potendolo fare.
Con questo non dico che non occorra fare modifiche, ma facendo attenzione a non penalizzare i più deboli o i più poveri. Perché, tagliando fondi o numeri, chi già sta bene economicamente e fa parte di una maggioranza riuscirebbe sempre e comunque a cavarsela, trovandosi nelle mani anche il potere di coloro per i quali – senza fondi adeguati – un seggio in parlamento risulterebbe un miraggio!
Piuttosto, pensiamo a cambiare la legge elettorale in modo che i parlamentari siano davvero scelti dagli elettori e quindi garantiscano di onorare con un assiduo impegno e con scelte di spesa oculate la fiducia riposta in loro dai cittadini che, se insoddisfatti, alla prossima occasione possono rimandarli a casa!