Morire se e quando si vuole. E, a volte, morire persino sugli schermi televisivi. Tanto scalpore fece, lo scorso giugno, un documentario della Bbc che mostrava la fine – fortemente voluta – dell’inglese Peter Smedley nell’ormai famosa clinica svizzera Dignitas, dove ogni anno circa cento britannici scelgono di staccare la spina. “Morte assistita” o “suicidio assistito”. Un termine o l’altro possono suscitare diverse reazioni nei più, ma la sostanza non cambia. Quando la vita non è più vita – come sostengono gli stessi malati e i loro cari – la legge spesso non è in grado di intervenire. Ma ora, per porre rimedio a questa situazione, una Commissione sulla morte assistita britannica ha dato delle linee-guida. E ha consigliato alla Camera dei Comuni, dei Lord e al governo di David Cameron di agire al più presto. I Tories e i Lib-Dems, più volte, hanno sostenuto di non voler cambiare le leggi. I dibattiti a Westminster sono spesso lunghi e farraginosi, ma non questa volta.
Le proposte della commissione – finanziata da alcuni ricchi privati e composta da undici studiosi, che hanno intervistato circa 1.300 persone – sono state pubblicate ieri e ruotano tutte attorno al concetto di volontà: i malati terminali con meno di un anno di vita davanti dovrebbero essere messi in grado di prendere da soli, con le proprie forze e con la propria coscienza, la pillola della “dolce” morte. Così come avviene in Oregon, così come avviene in altri Paesi. Il suicidio assistito, in Gran Bretagna, è ancora illegale e chi aiuta il malato a morire rischia fino a 14 anni di carcere. Ma un codice interno per i giudici targato 2010 lo dice chiaramente: chiunque agisca con compassione e aiuti un malato a passare oltre non dovrebbe andare incontro a condanne penali. Inghilterra e Galles lo vietano espressamente. Ma, come sempre è avvenuto in questi casi, dicono anche che chiudere un occhio, a volte, è consigliabile.
Ma che cosa ne pensano i britannici? Un sondaggio di YouGov dello scorso anno mise in luce che, per tre quarti dei cittadini di Sua Maestà, la morte assistita dovrebbe essere consentita. Nel 2008, un altro sondaggio di Populus sottolineò come sempre i tre quarti dei britannici fossero d’accordo con una revisione delle attuali leggi che prendesse in considerazione la condizione di malato terminale. Di diverso avviso, invece, i medici di base del Regno Unito. Il 49% si oppone drasticamente, il 39% è favorevole, mentre per il restante 12% la questione è troppo complessa per essere regolamentata dalla legge e dovrebbe essere considerata caso per caso. Le conclusioni pubblicate ieri pongono comunque dei paletti. Due medici indipendenti – e indipendentemente l’uno dall’altro – dovrebbero vagliare la situazione, in nessun caso dovrebbe essere concesso il suicidio assistito a malati di demenza senile e Alzheimer, la previsione dovrebbe essere di massimo un anno di vita restante e, soprattutto, dovrebbero sempre essere evitate le pressioni da parte di parenti, amici, badanti e persone vicine al malato.
Il presidente della commissione, Lord Falconer, avvocato ed ex ministro della Giustizia in quota Labour, si è comunque trovato davanti a strenui oppositori, anche all’interno dello stesso gruppo di lavoro. Il reverendo James Woodward – uno degli undici membri – ha detto chiaramente alla stampa che i tempi non sono maturi, mentre Elizabeth Butler-Sloss, ex presidente della sezione Famiglia dell’Alta Corte di Giustizia, ha sostenuto sul Times, oggi, che «in nessun modo la morte deve essere incoraggiata o assistita. La legge britannica va già bene così quando prende in considerazione la compassione di chi aiuta qualcuno a morire. Se un genitore supera il limite di velocità per portare il proprio figlio all’ospedale o se una madre ruba per il proprio figlio affamato, noi tutti siamo comprensivi. Ma questo non vuole dire che si debbano abolire i limiti di velocità o che si debba legalizzare il furto».