L’Ungheria paga caro le riforme targate Viktor Orban, entrate in vigore il primo gennaio, che allontanano il paese dai principi fondanti l’Unione europea e che hanno portato al blocco dei negoziati con il Fondo monetario internazionale. L’Fmi è irritato per la perdita di indipendenza della Banca centrale magiara, ora sotto il controllo del premier. L’asta da 45 miliardi di fiorini ungheresi di titoli di stato governativi a 12 mesi, prevista per oggi, non è stata interamente coperta. Il Tesoro è riuscito a piazzare titoli per 35 miliardi di fiorini con un tasso che sfiora ormai il 10 per cento e i credit default swap, strumenti derivati che nei fatti misurano la possibilità che un Paese possa fallire, sono saliti fino a passare i 750 punti, ovvero 100 punti in più rispetto solo a due giorni fa. Valori altissimi che in Eurolandia sono stati toccati solo da Paesi quali la Grecia, il Portogallo e l’Irlanda. “È chiaro che l’Ungheria non può andare avanti con i suoi mezzi. È una conseguenza dello stato di fatto del Paese” ha spiegato all’agenzia Mf-DowJones l’analista di Intesa Sanpaolo, Chiara Manenti.
Anche il fiorino ungherese paga lo scotto ed è tornato in giornata ai minimi dal 2009, sorpassando quota 320 sull’euro. Livelli ai quali la moneta magiara era giunta dopo la precedente crisi del debito, sfociata con l’aiuto diretto da 20 miliardi di euro del Fmi di cui lo Stato guidato da Orban è stato il primo fruitore in Europa. Aiuti che adesso sono in forse proprio per la rottura tra l’Fmi e il governo. Le scosse si sono fatte sentire forti e chiare anche in Italia, dove i titoli di Intesa Sanpaolo e Unicredit sono in calo a due ore dalla chiusura della seduta rispettivamente del 7,4 e del 16,8 per cento, destabilizzando Piazza Affari, la peggiore del Vecchio continente.
Su Unicredit pesa anche l’aumento di capitale lanciato ieri, ma i due istituti italiani hanno una forte presenza nel paese magiaro. Intesa controlla infatti Cib Bank, quinto istituto del paese con 145 filiali mentre la banca di Piazza Cordusio ha 134 filiali. Presenza diretta a parte, adesso sarà da capire qual è la quota di debito ungherese in mano a istituzioni estere, e in quali Paesi è allocata, per capire quanto può essere grave e pericoloso il contagio. Solo nel 2012 il Paese dovrebbe rinnovare 5 miliardi di euro di debito detenuto in mani estere. Una cifra non enorme in termini assoluti ma che difficilmente sarà coperta.
L’aggravarsi repentino della situazione potrebbe muovere il governo verso più miti consigli: Janos Lazar, parlamentare del partito di maggiorannza Fidetz, secondo quanto riportato dalla Reuters che cita l’agenzia Mti, ha affermato che l’Ungheria deve accettare almeno alcune delle condizioni poste da Fmi e Unione europea, confermando le parole di Tamas Fellegi, capo negoziatore con il Fondo sul pacchetto di aiuti, che ha affermato: “Siamo consapevoli della difficoltá della situazione, vogliamo un accordo con il Fondo monetario e se serve potremmo cambiare anche la legge sulla banca centrale”. La nuova crisi ungherese sembra insegnare quanto sia importante, con la recessione in arrivo in molte economie europee, l’unità di intenti a livello politico ed economico, oltre che a manifestare immediatamente il suo contagio a livello di Borse e aree economiche deboli che subito risentono dei venti freddi degli scivoloni finanziari.