“Sono state sottostimate l’energia, la capacità e la padronanza che durante la crisi hanno sostenuto la gente che costituisce l’anima della Chrysler. Non vedo l’ora di continuare il nostro viaggio e scrivere un eccitante nuovo capitolo nel 2012”. Firmato Sergio Marchionne. Ecco a voi il Marchionne in versione yankee, quello prodigo di elogi per operai, impiegati e manager. Il Marchionne a stelle e strisce che anche ieri ha voluto complimentarsi con la “gente di Chrysler” (parole sue) per gli straordinari risultati raggiunti.
In effetti il 2011 si è chiuso col botto per la casa americana: un aumento del 26 per cento delle vendite negli Stati Uniti. Il dato, diffuso ieri, ha spiazzato gli analisti. E forse anche il capo del Lingotto. Perchè se Chrysler prende il volo, Fiat affonda nel pantano della recessione. E mentre si allarga il divario tra le due provincie dell’impero, per Marchionne diventa sempre più difficile recitare il copione degli ultimi mesi. Un mantra che mette Torino e Detroit sullo stesso piano e nega decisamente l’intenzione di spostare Oltreatlantico il baricentro produttivo del gruppo, con l’Italia che finirebbe per diventare una semplice filiale del colosso americano, reduce dalla bancarotta di tre anni fa. Marchionne nega, ma il trasloco c’è già nei fatti, nei numeri. Nel 2010 Fiat ha perso un altro 13 per cento sul mercato italiano e in Europa, anche se un dato ufficiale ancora non c’è, è andata meglio solo di poco (a novembre la riduzione era dell’11 per cento). Questo significa che i marchi del Lingotto faranno fatica a raggiungere il target di 2 milioni di modelli venduti che erano l’obiettivo minimo del 2011. Lo stesso traguardo di 2 milioni potrebbe invece essere raggiunto da Chrysler che nel 2010 aveva solo sfiorato quota 1, 6 milioni.
Insomma, l’aggancio ormai è cosa fatta. Chrysler rinata dalla bancarotta ormai vende quanto una Fiat sempre più formato mignon. E così, i dati americani eccezionalmente positivi e quelli della Fiat sempre più in rosso finiscono per svelare il bluff di Marchionne. La spirale recessiva, accompagnata da aumenti di benzina bollo e assicurazione, ha colpito soprattutto i segmenti di mercato in cui Fiat era tradizionalmente più forte: citycar e utilitarie e, sul piano geografico, l’Italia.
Certo Torino non è la sola a soffrire. Proprio ieri Jean-Marc Gales, direttore generale del gruppo Psa (Peugeot-Citroen), ha annunciato le sue dimissioni. L’azienda francese, seconda in Europa dopo Volkswagen, ha visto calare dell’ 8 per cento le vendite nel Vecchio Continente, con perdite per oltre 400 milioni nel secondo semestre dell’anno. Nel caso di Fiat, però, il calo è stato amplificato dalla politica commerciale scelta dal Lingotto che, per risparmiare risorse da dedicare all’America, non ha investito su nuovi prodotti. “Investimenti inutili, se il mercato è fermo” predicava Marchionne. Il quale adesso, a parole, punta tutto sulla Panda che uscirà dallo stabilimento di Pomigliano inaugurato poche settimane fa. Gli annunci del Lingotto prevedono a regime la produzione di almeno 250 mila auto l’anno nell’impianto campano. Numeri che confrontati con i dati di vendita degli ultimi mesi appaiono, per usare un eufemismo, quantomeno difficili da raggiungere. Marchionne però non si è mai fatto grossi problemi in fatto di annunci. Ricordate il target dei 6 milioni di auto vendute che, secondo il manager col maglioncino, sarebbe stato raggiunto dal gruppo Fiat entro il 2014? La previsione risale al 2007 ed è stata ripetuta e confermata in innumerevoli occasioni nel corso degli ultimi anni. Un paio di mesi fa, in un’intervista al periodico americano Automotive News, Marchionne ha solo di poco aggiornato il dato portandolo a 5, 9 milioni.
Ebbene, siamo all’inizio del 2012 con una recessione alle porte e il gruppo di Torino (Chrysler compresa) è fermo a poco più di 4 milioni. Al momento, la rincorsa al target dei 6 milioni appare piuttosto complicata. Proprio ieri un panel di analisti interpellati dall’agenzia internazionale Bloomberg ha fatto letteralmente a pezzi le ottimistiche previsioni rifilate al mercato dall’amministratore delegato del Lingotto. In media gli esperti hanno fissato a 4, 9 milioni le vendite del gruppo torinese nel 2014, cioè un milione in meno rispetto al target di Marchionne. Secondo Giuseppe Berta, professore di storia economica all’università Bocconi, uno studioso che certo non può essere sospettato di ostilità preconcetta nei confronti della Fiat, l’obiettivo dei 6 milioni di auto “sembra più uno slogan che un obiettivo”. Il fatto è che a differenza di altri grandi gruppi come Volkswagen e Mercedes, il Lingotto è quasi del tutto assente sui mercati in grande espansione dell’Asia, a cominciare dalla Cina. E infatti, come spiega Berta, citato dall’agenzia Ansa, “l’unica chance di centrare l’obiettivo dei 6 milioni nel 2014 sarebbe quella di unire Fiat e Chrysler con un’azienda in Asia”. Facile a dirsi. Al momento grandi occasioni in giro non se ne vedono. E Torino, che già fatica a digerire finanziariamente acquisizione e sviluppo della Chrysler, al momento non sembra esattamente in grado di far fronte a un’altra importante operazione.
Il Fatto Quotidiano, 5 Gennaio 2012