A Nola l’appartamento confiscato al clan Russo è vuoto da anni perché al piano superiore ci abita la moglie di un boss, al piano dì sotto vive la figlia e, per usare un eufemismo, la situazione non è di quelle favorevoli al riutilizzo sociale del bene. A Castellammare di Stabia, in via Partoria, c’è una casa di circa 200 metri quadri confiscata al clan D’Alessandro. Ma ci abita ancora la moglie del capoclan della camorra, peraltro assegnataria del 50 per cento dell’immobile, parzialmente abusivo. Chi la sfratta? Nessuno. E il tempo passa. Sono solo due esempi tra decine e decine nel napoletano e nel casertano. Nel migliore dei casi, il bene si svaluta, va in rovina e diventa antieconomico per chi deve metterci le mani. Oppure resta nel sostanziale possesso di familiari o prestanome collusi. Nel peggiore, viene distrutto e vandalizzato dai clan che devono lanciare un segnale a chi di dovere.
In Campania soltanto il 20 per cento dei beni immobili sottratti alla criminalità organizzata viene concretamente reimpiegato a fini pubblici e sociali attraverso l’avvio di attività di interesse collettivo. Il resto rimane a marcire. Con i tempi tra la confisca e l’assegnazione che possono superare i dieci anni. Per poi finire spesso a un Comune che però, per le ragioni più disparate, di fatto non riesce a farne (o a farne fare) alcun uso. I dati emergono dagli atti in corso di pubblicazione di un workshop di tre giorni che ha coinvolto il consorzio Sole per la gestione dei beni confiscati – che raggruppa la Provincia di Napoli e 19 comuni del napoletano – e le procure di Napoli, Nola e Torre Annunziata. Schede tecniche e bozze di resoconti di ispezioni che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare. Documentazione che illustra una situazione molto meno rosea di quella che appare dalle statistiche ufficiali dell’Agenzia per i Beni Confiscati, dove campeggia un 50 per cento di assegnazioni.
“Ma il loro dato tiene conto anche dei beni semplicemente assegnati alle amministrazioni comunali nei quali però non viene fatto niente e restano vuoti” spiega la dirigente della Legalità e Sicurezza della Provincia di Napoli Lucia Rea, responsabile del Consorzio Sole. In Campania sono 1689 le case, gli immobili e le aziende confiscate ai clan. Una fetta consistente degli 11.705 beni confiscati sull’intero territorio nazionale. Incrociando le storie, i report dei comuni e scarpinando sui territori, al netto delle situazioni delle aziende – che hanno un altro iter – si certifica purtroppo una realtà più amara di quel che appare: solo due immobili su dieci servono a qualcosa.
Gli altri fanno la fine della Masseria Castello di Pomigliano d’Arco, 8000 metri quadri e uno scheletro edilizio sottratti al clan Foria e abbandonati al nulla della periferia. Confiscata il 26 giugno 2000, ci sono voluti 8 anni per assegnare la masseria all’amministrazione comunale. Esiste un progetto per trasformarla in un centro di aggregazione giovanile, e i rendering allegati ai lavori del workshop fanno apparire un fabbricato bellissimo e moderno. C’è un problema, però. I 3 milioni e 364mila euro stanziati dal Pon Sicurezza per la realizzazione del centro sono stati bloccati perché la Gestline ha fatto valere sull’immobile un’ipoteca di poco più di 10.000 euro. Ipoteca legata alle insolvenze dei vecchi proprietari, ovvero i clan. “Perché negli ultimi anni i camorristi – ricorda Rea – si sono fatti furbi. Mentre avanzavano le inchieste e le condanne nei loro confronti, hanno acceso mutui sui beni immobili a rischio confisca. Incassando soldi, molti soldi, contanti, più facili da far ‘sparire’”. E lasciando ai magistrati delle misure di prevenzione patrimoniale beni immobili appesantiti da gravami finanziari. Un rimedio c’è: far sentenziare a un giudice che la banca non ha accertato la buona fede del mutuante (i finanziamenti, spiegano gli investigatori, venivano concessi per inesistenti ‘ristrutturazioni’). Ma ci vuole tempo. Molto tempo. Che si aggiunge agli anni già trascorsi tra la confisca e l’assegnazione. A Villaricca l’appartamento sul corso Italia confiscato alla camorra nel 2009 ed assegnato al Consorzio Sole nel 2009 dovrebbe diventare una casa di accoglienza per diversamente abili. E sapete perché il progetto Pon da 363.000 euro non va avanti, stoppato da due azioni di pignoramento, una da 41.000 euro e un’altra da appena 1.306 euro? Perché l’Enel ha reclamato circa venti anni di bollette non pagate.
L’inutilizzo dei beni strappati alla delinquenza però non può essere spiegato solo con l’esistenza di pendenze ipotecarie. Dietro ci sono piccole e grandi paure, collusioni, debolezze. La dottoressa Rea ne ha di cose da raccontare: “Io sono stata a lungo in giro a vedere la situazione dei beni confiscati del napoletano e posso dire che i comuni molto spesso non hanno il coraggio di mettere le mani su beni la cui confisca rappresenta un evidente smacco per i clan ai quali sono stati sottratti. E parlo in particolare delle case dove hanno abitato i boss o dove continuano ad abitare i loro sodali. Si palesano così atteggiamenti di non scelta, chiamiamola così. Un esempio? In un comune dell’area vesuviana i funzionari dell’ufficio tecnico non riuscivano a trovare le chiavi della casa da aprire. E chissà perché non si trovava nemmeno un fabbro disponibile. Ma vorrei ricordare anche i casi in cui siamo riusciti a fare qualcosa di concreto e di utile, ci sono belle realtà sul territorio che operano grazie ai beni confiscati”. Ed allora eccone un piccolo catalogo, ovviamente incompleto.
A Portici in un appartamento nella centrale via Diaz, tolto al clan Vollaro, attraverso una procedura di evidenza pubblica è stata aperta una sede dell’Associazione Italia Celiachi. A Castellammare di Stabia, in via Santa Caterina, un soppalco confiscato ai D’Alessandro, e assegnato al comune soltanto 15 anni dopo la confisca, è diventato grazie all’associazione Asharam un centro per immigrati in difficoltà (e soltanto recentemente i ragazzi dell’associazione sono riusciti ad ottenere la conferma dei finanziamenti necessari per la prosecuzione dell’attività). A Portici, nella spettacolare Villa Fernandez, una volta appartenuta al clan Rea, è stato aperto un centro di assistenza per tossicodipendenti. Forse l’intervento più bello e significativo è stato compiuto a Giugliano, nel Complesso Rea, esteso su 32.000 metri quadri. Venne conferito al Consorzio Sole quando era ancora occupato da 32 nuclei familiari. E’ stato restituito alla collettività “nonostante – sottolinea la Rea – l’atteggiamento poco collaborativo dell’amministrazione locale”. Oggi si chiama “Parco Ammaturo“, in memoria del Dirigente della squadra mobile della Polizia di Stato assassinato dalle Brigate Rosse nel 1982.