Ho un amico laureato (anche) in teologia. Ci capita di discutere. Oggi abbiamo litigato sulla necessità del “male”, sulle scelte tra i “mali”, sull’ananke, la “necessità” che ci impone di fare non ciò che si dovrebbe ma ciò che si deve; sul traffico di stupefacenti. Gli ho detto (ma lui fa lo stesso mestiere che facevo io e quindi tutte queste cose le sapeva benissimo) che la percentuale di successo nel contrasto al traffico di droga è ridottissima. Che per sequestrare il 5 % del traffico di cocaina dall’America del Sud agli Usa si spendono miliardi di dollari. Che, secondo la Commissione Globale sulle politiche delle droghe, in dieci anni, dal 1998 al 2008, i consumatori di oppiacei sono aumentati del 34,5 % (da 12,9 milioni a 17,35); quelli di cocaina del 27 % e i dipendenti dalla cannabis sono aumentati da 147 a 160 milioni.
Lui mi ha detto che la ragione per cui si combatte la droga è che la droga è “male” e che combatterla è un imperativo etico. E che comunque anche una minima diminuzione del traffico si traduce in difficoltà di approvvigionamento. Io gli ho detto che impedire ai cartelli della droga di tenere in schiavitù intere nazioni (Colombia, Bolivia, Perù, Messico, Afghanistan, Pakistan e paesi emergenti dell’est europeo), di assassinare migliaia (magari di più?) di persone ogni anno, di condizionare la vita politica ed economica di milioni di persone; mi pareva imperativo etico di maggiore rilievo che combattere spinelli e righe di coca. Lui mi ha detto (non è mica scemo): “Lo so, tu vorresti legalizzare l’uso delle droghe: se le vendi in farmacia a 30 euro la dose i trafficanti spariscono di incanto. E per la verità anche la microcriminalità dei drogati che scippano e rapinano per comprarsi la dose. Ma non va bene perché a questo punto la facilità di approvvigionamento porterebbe a un incremento dell’uso”.
Io gli ho detto che l’incremento c’era già, ogni anno e che comunque oggi, con il proibizionismo, s’incrementa il marketing. Gli spacciatori stanno fuori delle scuole e regalano le prime dosi per farsi i clienti. È intervenuta sua figlia: “È vero papà, fuori della mia scuola lo sanno tutti che Ciccio è il capo dei ragazzi che ti vendono la marijuana”. Gli ho dato qualcos’altro di cui preoccuparsi: “Secondo te in qualsiasi discoteca c’è difficoltà a procurarsi ogni tipo di droga?”. “Il male va combattuto – ha concluso; secondo te, se una banda di terroristi sequestra 100 studenti e minaccia di ucciderli se lo Stato non ti ammazza (tu, il più probo e brillante degli uomini – ho annuito entusiasticamente), sarebbe giusto ammazzarti per salvare 100 ragazzi? Sarebbe una barbarie”. “No, non sarebbe giusto – gli ho detto – ma non per la ragione che dici tu. Perché, se lo Stato cedesse al ricatto, domani prenderebbero altri 100 studenti e gli ordinerebbero di ammazzare te, il secondo più probo e brillante etc etc”. Prima che desse fondo alla sua preparazione di filosofia teoretica gli ho dato il KO: l’ipse dixit che è alla base della filosofia tommasea. “Guarda che tutto questo lo dice quella Commissione di cui ti ho parlato”: “Terminare con la criminalizzazione delle droghe. Sfidare i luoghi comuni sbagliati invece di rafforzarli. Incoraggiare i governi a sperimentare modelli di regolamentazione giuridica della droga per minare il potere del crimine organizzato e salvaguardare la salute e la sicurezza dei cittadini.” Non l’ho convinto.
Il Fatto Quotidiano, 6 Gennaio 2012