Le liberalizzazioni degli orari nel commercio sono materia di competenza regionale. Questa la risposta dell’Emilia Romagna al pacchetto normativo Cresci Italia confezionato dal governo Monti assieme ai ministri Passera, Moavero e Severino, e al presidente dell’Antitrust Catricalà.
“Noi siamo una regione che ha già raggiunto un equilibrio molto avanzato, risultato di concertazione fra tutti i soggetti protagonisti del settore”, spiega l’assessore regionale al Commercio, il riminese del Pd, Maurizio Melucci, “neanche in Europa c’è una liberalizzazione così spinta. Mi pare una materia che andrebbe affrontata con più cognizione di causa”.
Cognizione che appartiene, non solo per legge ma soprattutto per competenze, agli enti locali: “Per noi è normale avere la rete distributiva aperta quindi: liberalizziamo cosa? Un’attività commerciale che possa tenere aperto tutta la notte? Lo può fare già. Non c’è bisogno di ulteriori liberalizzazioni. L’equilibrio che avevamo raggiunto noi permetteva ai commercianti di scegliere l’orario più idoneo per la clientela a cui faceva riferimento”. Ecco perché l’Emilia Romagna sta valutando di presentare ricorso alla Corte costituzionale, assieme a Toscana, Puglia e Piemonte, e a cui stanno pensando di unirsi anche Lazio e Veneto. “Non stiamo facendo una battaglia di retroguardia. Stiamo difendendo un equilibrio già avanzato, che è un’altra cosa”. Serve “fare capire al governo che è tema di competenza delle regioni, dandogli la possibilità di regolamentare in materia di orario. Perché l’Italia non è tutta uguale, ogni regione ha le sue specificità”.
“Una cosa sono le limitazioni nella liberalizzazione dell’apertura delle attività commerciali senza contingentamenti di nessun tipo, che però è stata ampiamente superata negli anni – prosegue l’assessore – altra cosa sono gli orari, che dovrebbe essere materia delle regioni e dei comuni”.
E Sel si spacca. A Bologna la questione ha suscitato un subbuglio politico tale da portare alla spaccatura netta di Sinistra Ecologia e Libertà, con posizioni contraddittorie rispetto ai dogmi classici dei singoli partiti. A sorpresa la consigliera comunale Cathy La Torre si è dichiarata favorevole alla liberalizzazione ricordando che “già nella riforma degli enti locali negli anni Novanta era previsto un provvedimento simile, ideato per favorire una conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dei cittadini, e il commercio”.
Secco invece il ‘no’ del consigliere regionale del medesimo partito Gian Guido Naldi, “assolutamente contrario” al provvedimento: “in Italia c’è già un eccessivo permissivismo e un’apertura sregolata tutte le domeniche, 24 ore al giorno, peggiorerebbe le condizioni lavorative in maniera ingiustificata. Con un reddito calante non vedo come le famiglie potrebbero essere incentivate a spendere di più a fronte di questa soluzione. Inoltre si ripercuoterebbe contro le imprese più piccole, che farebbero fatica a offrire orari simili. Sono d’accordo con i commercianti”.
E con la Lega Nord, a quanto pare. Il primo partito che, contrariamente alle previsioni, ha spalleggiato la Regione esprimendo da subito il proprio disaccordo rispetto al decreto. Il provvedimento, ha dichiarato il consigliere Manes Bernardini, non farebbe altro che penalizzare i piccoli commercianti e le botteghe, mettendo in crisi un’intera categoria a fronte di benefici pressoché nulli. Sulle posizioni della Lega Nord probabilmente influisce il discorso del turn over garantito delle maestranze straniere, con cui i commercianti locali non possono rivaleggiare: “con i cinesi non può competere nessuno – afferma anche l’assessore Melucci che però precisa – nemmeno la grande distribuzione è in grado di fare orari oltre quelli che stanno facendo, perché c’è un rapporto fra costi e benefici. Aprire oltre gli orari che stanno facendo per loro diventa antieconomico”.
Vista da vicino, quale può essere dunque il motivo di queste liberalizzazioni? “Sinceramente non lo so – risponde l’assessore dalla Regione – Con 3 giorni di chiusura l’anno, le attività possono sono già rimanere aperte con l’orario che ritengono utile. Liberalizzare ulteriormente significa agevolare i territori che non sono turistici, tutto a vantaggio delle grande distribuzione. Ma il problema che abbiamo è di mantenere le realtà minori che fanno già fatica a sopravvivere”. I piccoli esercizi (fino a 150 mq. di superficie di vendita), che in Emilia Romagna rappresentano oltre il 90% del numero totale, “rischierebbero di soffrire ulteriormente”.
La posizione dei piccoli commercianti. Dalla manovra Cresci Italia sembrerebbe arrivare un provvedimento che acuisce anziché risolvere la crisi. Monti spariglia le carte del commercio, senza – pare – che ci sia un risvolto pratico logico, come confermano i commercianti, secondo cui la liberalizzazione generalizzata non rilancerebbe i consumi ma arrecherebbe solo gravi problemi in termini di concorrenza e di sopravvivenza dei più piccoli. “Il rischio è che i cittadini si abituino a ricorrere ai punti vendita più lontani ma aperti fino a tardi, abbandonando le piccole realtà locali che si trovano costrette, in un momento di forte crisi, o ad aumentare il personale, o a sottoporsi a turni massacranti” ha denunciato Enrico Postacchini, presidente di Ascom Bologna. “Oppure devono rimanere chiusi, perché è normale che i bottegai non possano tenere il passo con le grandi catene, che la sera tornino a casa e abbiano un giorno di riposo. Questa liberalizzazione disorganizzata costringerebbe migliaia di persone a cambiare il proprio stile di vita, a turni lunghissimi e a orari sregolati per stare dietro a qualche paranoico che alle tre del mattino vuole comprare le scarpe”.
Autorizzare l’apertura arbitraria dei negozi, poi, solleva il problema dell’occupazione anche per le grandi catene commerciali e la domanda che sorge di fronte alla necessità di coprire turni più lunghi è relativa alle condizioni contrattuali. La sera, la domenica e nelle feste i dipendenti andrebbero pagati di più, o se ne dovrebbero assumere altri: quali misure contrattuali sarebbero necessarie, affinché l’apertura sia effettivamente vantaggiosa economicamente? “Noi non intendiamo comunque approvare un piano di aperture indiscriminate” ha sottolineato Luca Panzavolta, amministratore delegato di Conad “perché in certi periodi non conviene e lì sta ai singoli compiere le dovute valutazioni”.
Il caso Modena. Un esempio di liberalizzazione regolamentata l’ha proposto Modena, il cui modello ha già riscosso opinioni favorevoli dalle istituzioni, dai commercianti e dai sindacati. Una rotazione settimanale che prevede, ogni domenica, un negozio o un supermercato aperto dove fare la spesa, secondo un calendario concordato che escluderà l’anarchia e quel minaccioso scontro Davide contro Golia che i piccoli negozianti temono. L’accordo è stato firmato da tutti i soggetti interessati, trovando anche il favore dei rappresentanti dei lavoratori ma ora la sua applicazione è minacciata dal decreto deregulation.
di Annalisa Dall’Oca e Ilaria Giupponi
Emilia Romagna
Il Pd in Emilia silura Monti: “Negozi sempre aperti? Decide la Regione, non il governo”
L'assessore Melucci: "Ricorreremo alla Corte Costituzionale. Noi siamo ad uno stadio già avanzato ed equilibrato". La Lega Nord si schiera con la maggioranza e Sel si divide
“Noi siamo una regione che ha già raggiunto un equilibrio molto avanzato, risultato di concertazione fra tutti i soggetti protagonisti del settore”, spiega l’assessore regionale al Commercio, il riminese del Pd, Maurizio Melucci, “neanche in Europa c’è una liberalizzazione così spinta. Mi pare una materia che andrebbe affrontata con più cognizione di causa”.
Cognizione che appartiene, non solo per legge ma soprattutto per competenze, agli enti locali: “Per noi è normale avere la rete distributiva aperta quindi: liberalizziamo cosa? Un’attività commerciale che possa tenere aperto tutta la notte? Lo può fare già. Non c’è bisogno di ulteriori liberalizzazioni. L’equilibrio che avevamo raggiunto noi permetteva ai commercianti di scegliere l’orario più idoneo per la clientela a cui faceva riferimento”. Ecco perché l’Emilia Romagna sta valutando di presentare ricorso alla Corte costituzionale, assieme a Toscana, Puglia e Piemonte, e a cui stanno pensando di unirsi anche Lazio e Veneto. “Non stiamo facendo una battaglia di retroguardia. Stiamo difendendo un equilibrio già avanzato, che è un’altra cosa”. Serve “fare capire al governo che è tema di competenza delle regioni, dandogli la possibilità di regolamentare in materia di orario. Perché l’Italia non è tutta uguale, ogni regione ha le sue specificità”.
“Una cosa sono le limitazioni nella liberalizzazione dell’apertura delle attività commerciali senza contingentamenti di nessun tipo, che però è stata ampiamente superata negli anni – prosegue l’assessore – altra cosa sono gli orari, che dovrebbe essere materia delle regioni e dei comuni”.
E Sel si spacca. A Bologna la questione ha suscitato un subbuglio politico tale da portare alla spaccatura netta di Sinistra Ecologia e Libertà, con posizioni contraddittorie rispetto ai dogmi classici dei singoli partiti. A sorpresa la consigliera comunale Cathy La Torre si è dichiarata favorevole alla liberalizzazione ricordando che “già nella riforma degli enti locali negli anni Novanta era previsto un provvedimento simile, ideato per favorire una conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dei cittadini, e il commercio”.
Secco invece il ‘no’ del consigliere regionale del medesimo partito Gian Guido Naldi, “assolutamente contrario” al provvedimento: “in Italia c’è già un eccessivo permissivismo e un’apertura sregolata tutte le domeniche, 24 ore al giorno, peggiorerebbe le condizioni lavorative in maniera ingiustificata. Con un reddito calante non vedo come le famiglie potrebbero essere incentivate a spendere di più a fronte di questa soluzione. Inoltre si ripercuoterebbe contro le imprese più piccole, che farebbero fatica a offrire orari simili. Sono d’accordo con i commercianti”.
E con la Lega Nord, a quanto pare. Il primo partito che, contrariamente alle previsioni, ha spalleggiato la Regione esprimendo da subito il proprio disaccordo rispetto al decreto. Il provvedimento, ha dichiarato il consigliere Manes Bernardini, non farebbe altro che penalizzare i piccoli commercianti e le botteghe, mettendo in crisi un’intera categoria a fronte di benefici pressoché nulli. Sulle posizioni della Lega Nord probabilmente influisce il discorso del turn over garantito delle maestranze straniere, con cui i commercianti locali non possono rivaleggiare: “con i cinesi non può competere nessuno – afferma anche l’assessore Melucci che però precisa – nemmeno la grande distribuzione è in grado di fare orari oltre quelli che stanno facendo, perché c’è un rapporto fra costi e benefici. Aprire oltre gli orari che stanno facendo per loro diventa antieconomico”.
Vista da vicino, quale può essere dunque il motivo di queste liberalizzazioni? “Sinceramente non lo so – risponde l’assessore dalla Regione – Con 3 giorni di chiusura l’anno, le attività possono sono già rimanere aperte con l’orario che ritengono utile. Liberalizzare ulteriormente significa agevolare i territori che non sono turistici, tutto a vantaggio delle grande distribuzione. Ma il problema che abbiamo è di mantenere le realtà minori che fanno già fatica a sopravvivere”. I piccoli esercizi (fino a 150 mq. di superficie di vendita), che in Emilia Romagna rappresentano oltre il 90% del numero totale, “rischierebbero di soffrire ulteriormente”.
La posizione dei piccoli commercianti. Dalla manovra Cresci Italia sembrerebbe arrivare un provvedimento che acuisce anziché risolvere la crisi. Monti spariglia le carte del commercio, senza – pare – che ci sia un risvolto pratico logico, come confermano i commercianti, secondo cui la liberalizzazione generalizzata non rilancerebbe i consumi ma arrecherebbe solo gravi problemi in termini di concorrenza e di sopravvivenza dei più piccoli. “Il rischio è che i cittadini si abituino a ricorrere ai punti vendita più lontani ma aperti fino a tardi, abbandonando le piccole realtà locali che si trovano costrette, in un momento di forte crisi, o ad aumentare il personale, o a sottoporsi a turni massacranti” ha denunciato Enrico Postacchini, presidente di Ascom Bologna. “Oppure devono rimanere chiusi, perché è normale che i bottegai non possano tenere il passo con le grandi catene, che la sera tornino a casa e abbiano un giorno di riposo. Questa liberalizzazione disorganizzata costringerebbe migliaia di persone a cambiare il proprio stile di vita, a turni lunghissimi e a orari sregolati per stare dietro a qualche paranoico che alle tre del mattino vuole comprare le scarpe”.
Autorizzare l’apertura arbitraria dei negozi, poi, solleva il problema dell’occupazione anche per le grandi catene commerciali e la domanda che sorge di fronte alla necessità di coprire turni più lunghi è relativa alle condizioni contrattuali. La sera, la domenica e nelle feste i dipendenti andrebbero pagati di più, o se ne dovrebbero assumere altri: quali misure contrattuali sarebbero necessarie, affinché l’apertura sia effettivamente vantaggiosa economicamente? “Noi non intendiamo comunque approvare un piano di aperture indiscriminate” ha sottolineato Luca Panzavolta, amministratore delegato di Conad “perché in certi periodi non conviene e lì sta ai singoli compiere le dovute valutazioni”.
Il caso Modena. Un esempio di liberalizzazione regolamentata l’ha proposto Modena, il cui modello ha già riscosso opinioni favorevoli dalle istituzioni, dai commercianti e dai sindacati. Una rotazione settimanale che prevede, ogni domenica, un negozio o un supermercato aperto dove fare la spesa, secondo un calendario concordato che escluderà l’anarchia e quel minaccioso scontro Davide contro Golia che i piccoli negozianti temono. L’accordo è stato firmato da tutti i soggetti interessati, trovando anche il favore dei rappresentanti dei lavoratori ma ora la sua applicazione è minacciata dal decreto deregulation.
di Annalisa Dall’Oca e Ilaria Giupponi
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Il Papa “ha riposato bene”. “Dimissioni? Sono speculazioni”. Le condizioni mediche: “Non è fuori pericolo, il vero rischio è la sepsi”
Teheran, 22 feb. (Adnkronos/Afp) - Il ministero degli Esteri iraniano ha dichiarato che il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov visiterà Teheran nei prossimi giorni per incontrare il suo omologo iraniano Abbas Araghchi e discutere "degli sviluppi regionali e internazionali". "La visita sarà effettuata nel quadro delle consultazioni in corso tra la Repubblica islamica dell'Iran e la Federazione Russa sulle relazioni bilaterali e sugli sviluppi regionali e internazionali", ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Esmaeil Baqaei.
Roma, 22 feb. (Adnkronos) - "Nessun tumore al cervello e nessuna infezione da polmonite batterica, come erroneamente riportato dalla Direzione sanitaria del Mar Rosso. Mattia è morto per un’emorragia causata da un aneurisma cerebrale e si esclude con certezza la presenza di altre patologie concomitanti. Questo quanto emerge dopo l'esame effettuato dall'Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine". Così l'avvocato Maria Virginia Maccari, che assiste i familiari di Mattia Cossettini, morto a 9 anni mentre si trovava in vacanza a Marsa Alam.
"Mattia era felicissimo della vacanza e fino a quella tragica escursione in barca non aveva manifestato alcun sintomo, nemmeno un raffreddore. Tanti sorrisi fino all’ultimo momento, allegro come tutti lo conoscevano, ma durante l’escursione in barca non c’è stata nessuna possibilità di chiamare o di ricevere i soccorsi. Secondo i genitori vi è stata sicuramente una sottovalutazione del quadro clinico iniziale; c’è poi stato un errore di refertazione da parte dei medici dell’ospedale generale governativo di Marsa Alam, che hanno interpretato la Tc senza intervenire poi su Mattia per l’assenza di attrezzature, tenuto solamente in osservazione mentre i sanitari stimavamo le più svariate patologie, dal diabete alla broncopolmonite, citando addirittura il Covid come causa di un’ossigenazione bassa quando invece Mattia non aveva neanche la tosse", spiega.
"Rimasto invece su una lettiga di ospedale, con il cuscino della camera del resort, mentre i genitori tentavano invano un trasferimento presso un altro ospedale. La famiglia sta ancora approfondendo gli aspetti relativi all’incidenza di una corretta e tempestiva diagnosi, ma quello che emerge è la necessità di sensibilizzare il Governo egiziano per favorire protocolli nella gestione delle emergenze sanitarie nella zona del mar Rosso. Il primo ospedale attrezzato è situato a circa tre ore di auto e - sottolinea - non sono disponibili mezzi di trasporto rapidi per raggiungerlo. Probabilmente sarebbe sufficiente un piccolo contributo economico da parte delle numerosissime strutture alberghiere per garantire un servizio sanitario adeguato, oppure realizzare un eliporto per trasferire i pazienti gravi, raggiungendo un luogo idoneo. Si stima la presenza di circa quindici milioni di italiani in Egitto ogni anno, di cui un terzo circa nella zona del Mar Rosso".
"Nonostante tutte le immersioni subacquee effettuate in zona, anche una 'semplice' embolia polmonare diventerebbe critica a causa dell’assenza nelle vicinanze di una camera iperbarica. In alcune situazioni potrebbe fare la differenza anche la refertazione a distanza, facilmente possibile con l’utilizzo della telemedicina e nel caso di Mattia si sarebbe molto probabilmente evitata l'errata interpretazione delle immagini della Tc, fatto che ha di certo avuto un peso psicologico importante sui genitori. Non è chiaro se il tempo perso, dai primi sintomi interpretati in modo superficiale dai medici, all’incapacità di intervenire in modo attivo presso l’ospedale di Marsa Alam, potessero cambiare l’esito della vicenda. È però evidente come, qualsiasi necessità sanitaria improvvisa, che possa essere clinicamente complessa ma che nel nostro contesto sociale risulti gestibile, le possibilità di sopravvivenza in una zona così turistica e famosa siano sorprendentemente scarse. I genitori di Mattia, Marco e Alessandra, si augurano che la morte di loro figlio possa servire ad avviare questo adeguamento sanitario in Egitto per il bene dí tutti gli altri turisti italiani, non consapevoli della situazione fatiscente che potrebbero scoprire appena varcate le mura dei lussuosi resort", conclude.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Milano, 21 feb. (Adnkronos) - Con una produzione dal valore di 277 milioni di euro nel 2023, la Lombardia è la quarta regione italiana più rilevante nel comparto florovivaistico. E' quanto afferma la Coldiretti regionale, sulla base del primo Rapporto nazionale sul settore realizzato dal centro studi Divulga e da Ixe’ con Coldiretti, in occasione della giornata conclusiva di Myplant&Garden, una delle più importanti manifestazioni internazionali per i professionisti delle filiere del verde in corso a Rho Fiera Milano.
In Lombardia, precisa la Coldiretti regionale su dati Registro delle Imprese, sono oltre 2.500 le aziende florovivaistiche, a cui vanno aggiunte quelle che si dedicano alla cura e alla manutenzione del paesaggio, per una filiera del verde lombarda che in totale può contare su più di 7.900 imprese. Sulla base del rapporto Divulga/Ixè, nel 2024 il florovivaismo Made in Italy ha raggiunto il valore massimo di sempre a quota 3,3 miliardi di euro, grazie anche al traino dell’export che chiuderà l’anno a 1,3 miliardi, ma sulle aziende nazionali pesa oggi la difficile situazione internazionale, a partire dalla guerra in Ucraina. Proprio a causa del conflitto, le aziende hanno subito un aumento dei costi del +83% per i prodotti energetici e del +45% per i fertilizzanti rispetto al 2020, oltre a un +29% per altri input produttivi quali sementi e piantine.
Costi in progressivo aumento, che ancora fanno fatica ad essere riassorbiti, tanto più se si considera la concorrenza sleale che pesa sulle imprese tricolori a causa delle importazioni a basso costo dall’estero, dove non si rispettano le stesse regole in termini di utilizzo dei prodotti fitosanitari, ma anche di tutela dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.
Non va poi trascurato, avverte Coldiretti, l’impatto dei cambiamenti climatici: secondo il rapporto Divulga/Ixe’ due aziende agricole su tre (66%) hanno subito danni nell’ultimo triennio a causa di eventi estremi, tra grandinate, trombe d’aria, alluvioni e siccità che a più riprese hanno interessato il territorio nazionale. Il risultato di tutti questi fattori è che più di un terzo delle aziende florovivaistiche italiane denuncia difficoltà economiche.
Un quadro dinanzi al quale Coldiretti chiede misure di sostegno alle imprese per contrastare i cambiamenti climatici che, oltre agli eventi estremi, hanno moltiplicato le malattie che colpiscono le piante, spesso peraltro diffuse a causa delle importazioni di prodotti stranieri.
Ma serve anche puntare sulla promozione dei prodotti 100% Made in Italy, mettendone in risalto l’elevato valore ambientale, oltre che gli effetti positivi dal punto di vista della salute e della lotta all’inquinamento. Importante anche una maggiore considerazione per il settore all’interno della Politica agricola europea e, di riflesso, nelle politiche di sviluppo rurale.
Gaza, 22 feb. (Adnkronos) - Gli ostaggi israeliani Eliya Cohen, Omer Shem Tov e Omer Wenkert sono stati trasferiti alla Croce Rossa Internazionale dopo essere saliti sul palco a Nuseirat, nel centro di Gaza, prima del rilascio da parte di Hamas.
Roma, 22 feb. (Adnkronos Salute) - "In Italia sono sempre più giovani medici attratti dalla ginecologia oncologica: questa specializzazione conta bravi chirurghi intorno ai 45 anni, in Italia sono circa 50, tra cui molte donne. E loro saranno tra i protagonisti domani del simposio 'Innovation in Gyn Onc', appuntamento voluto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia all’interno di Esgo", European Gynaecological Oncology Congress, in corso fino a domenica a Roma (Hotel dei Congressi all’Eur). Così all’Adnkronos Salute Vito Trojano, presidente di Sigo alla vigilia del meeting all’interno del Congresso Esgo 2025, un'esperienza formativa con oltre 50 sessioni scientifiche che in questa tre giorni di lavori presentano gli ultimi sviluppi medici e scientifici nella ricerca, nel trattamento e nella cura dei tumori ginecologici, tenuti da esperti di fama mondiale.
"Sarà una giornata molto importante perché non solo è un connubio fra la Società europea di ginecologia oncologica e la Sigo – spiega Trojano – ma perché dedicata alle nuove generazioni. Obiettivo: poter fare in modo che la Ginecologia oncologica sia sempre più attrattiva e di interesse per i giovani che aspirano a fare i medici".
Tra i temi al centro del simposio, nuove proposte per la vaccinazione e lo screening del cancro cervicale, prevenzione del cancro ovarico oltre la chirurgia, medicina di precisione in oncologia ginecologica, novità dalla biopsia liquida, algoritmi terapeutici nel carcinoma ovarico di prima linea, efficacia e sopravvivenza a lungo termine con gli inibitori di Parp. E ancora: la salute digitale in oncologia ginecologica, telechirurgia, telesonografia, teleconsulenza e Hipec (chemioterapia ipertermica intraperitoneale) in oncologia ginecologica. "Ampio spazio sarà dato ovviamente alle nuove terapie mediche, alle tecniche chirurgiche e all’Intelligenza artificiale con cui i futuri chirurghi si addestrano e si formano", conclude Trojano.