Il pentito ha accusato il meccanico Maurizio Costa di avere sistemato le ganasce della Fiat 126, poi trasformata nell’autobomba che esplose il 19 luglio di vent'anni fa, uccidendo il giudice Borsellino e la sua scorta
In passato Costa era già stato coinvolto in inchieste di mafia. Il suo nome emerge ora dagli atti che la Procura generale di Caltanissetta ha inviato alla Corte d’appello di Catania per supportare la richiesta di revisione del processo. “Costa lo portammo in un garage che si trova in una traversa di corso dei Mille, andando verso Villabate”, ha raccontato il pentito Spatuzza. Il racconto è stato confermato anche da un altro favoreggiatore dei boss di Brancaccio, Agostino Trombetta, oggi pure lui collaboratore di giustizia. “Diedi a Costa 100 mila lire, per comprare i pezzi di ricambio – spiega Spatuzza – gli spiegai che dovevamo fare un lavoretto su una 126, per sistemare la frenatura”.
I magistrati stanno anche ricostruendo la posizione di Salvatore Vitale, l’ex gestore del maneggio “Palermitana equitazione salto ostacoli”, già condannato per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo. Secondo Spatuzza, sarebbe lui la talpa della mafia nel palazzo di via d’Amelio: la sua abitazione era al piano terra, un posto perfetto per controllare le mosse di Paolo Borsellino, che andava spesso a trovare la madre.