Ci sono due immagini che, meglio di ogni altra, rappresentano lo stato attuale della campagna elettorale repubblicana. Da un lato c’è Mitt Romney, che il giorno dopo il voto in Iowa dà una serie di interviste negli show del mattino, si imbarca su un Boeing 737 pieno di giornalisti e arriva in New Hampshire, il prossimo Stato dove si vota, in tempo per gli show della sera. Dall’altro c’è Rick Santorum, che lascia Des Moines su un lentissimo King Air a eliche e atterra in New Hampshire nel tardo pomeriggio, troppo tardi per le interviste della sera.
I due candidati finiti in testa nei caucuses dell’Iowa sono in questo momento divisi da un abisso economico, organizzativo, politico. Romney può contare su una macchina elettorale potente, su finanziamenti a pioggia (alimentati dall’appoggio dei Super PAC, gruppi indipendenti che possono investire senza limiti nella campagna), sull’appoggio pubblico di pezzi da novanta dell’establishment repubblicano. L’ex-governatore, che aveva già inondato di spot le televisioni dell’Iowa, sta ora facendo lo stesso in New Hampshire e nei prossimi due Stati dove si vota: South Carolina e Florida (nel Sunshine State costa moltissimo affittare gli spazi pubblicitari).
Di contro, Santorum ha sinora contato soprattutto su una campagna “dal basso”, fatta di una miriade di apparizioni a eventi grandi e piccoli. Propaganda porta a porta, strette di mano nei supermercati, comizi nei parcheggi. La cosa ha funzionato nel conservatore, bianco, cristiano Iowa, ma rischia di risultare molto meno redditizia nell’Est del Paese, nel ben più laico New Hampshire; dove le prese di posizione contro la contraccezione avranno sicuramente ben più scarsa presa.
E’ vero che, nelle ultime ore, la dinamica elettorale repubblicana è cambiata, e Santorum potrebbe avvantaggiarsene. Il ritiro di Michele Bachman libera energie e dollari a suo vantaggio. In aiuto del candidato conservatore sta arrivando il “Red, White and Blue Fund“, uno dei Super PAC più ricchi (il suo presidente, Nick Ryan, raccolse 25 milioni di dollari nel 2010 per battere i democratici). Ma è in generale tutto il mondo religioso e conservatore – quello della Christian Coalition, di American Values, del Family Research Council – che vede in Santorum un’opportunità su cui scommettere. Nelle 24 ore successive ai caucuses, un milione di dollari è finito nelle sue casse.
“Le primarie sono ancora all’inizio. Tutto può accadere”, ha del resto detto Rick Perry, che nonostante il per lui deludente risultato in Iowa ha deciso di restare in corsa (gli rimangono in banca 3 milioni e mezzo di dollari da spendere). In New Hampshire non sembra esserci storia, con Romney in testa di almeno 25 punti (una minaccia, per lui, potrebbe venire da Jon Huntsman, che nel Granite State ha impegnato tempo e risorse). Poi la campagna prenderà la strada del Sud, e qui l’ex-governatore del Massachusetts potrebbe soffrire pesantemente la concorrenza di Perry, Santorum e Gingrich (quest’ultimo, bruciato dagli attacchi di Romney in Iowa, sta giocando la carta degli spot TV in New Hampshire e South Carolina, dove definisce le proposte economiche di Romney ‘timide’).
Molti segnali di queste ore mostrano che la nomenclatura repubblicana vorrebbe che lo scontro tra gli sfidanti terminasse al più presto e che tutto il partito si coalizzasse attorno a Romney nella battaglia a Barack Obama. Gli endorsement, gli appoggi pubblici di John McCain e di Bob Dole a Romney vanno in questo senso. La strategia incontra però la netta resistenza dei settori più conservatori del partito. “Romney non ha un vero vantaggio nei sondaggi e non ha mai ispirato l’entusiasmo degli elettori repubblicani”, ha scritto in un editoriale la National Review. Più salace, come al solito, il commento di Rush Limbaugh, principe dei radio talk show di destra, che a proposito dell’appoggio di McCain a Romney, ha detto: “L’uomo che non è riuscito a battere Obama, unito all’uomo che non è nemmeno riuscito a battere McCain. Che combinazione mortale!”.
“I democratici cadono innamorati. I repubblicani cadono in fila”, ha detto con un gioco di parole Bill Clinton, lasciando intendere che prima o poi il GOP si metterà d’accordo. Ma la dinamica di questa campagna repubblicana sembra da mesi, invariabilmente, la stessa: e cioè l’incapacità del partito di riunirsi, le resistenze di larghi settori conservatori ad accettare Romney, il ‘predestinato’ che nessuno davvero ama, la lotta tra candidati ugualmente deboli. “Ognuno tra gli sfidanti porta con sé una debolezza”, ci dice Jonathan Tobin, della rivista Commentary. Ognuno degli sfidanti, verrebbe da dire, porta con sé una parte di mondo repubblicano – conservatori sociali, élite di Wall Street, Tea Party – che proprio non ce la fa a ricomporsi.