Grazie a Sveva Belviso, vicesindaco di Roma, le ragazze e le donne che scelgono di non portare a termine una gravidanza non desiderata, avranno la possibilità di soffrire di più. Di sentirsi in colpa. Di macerarsi nell’angoscia. Con il “seppellimento” (la parola italiana è sepoltura, ma non importa) del loro bimbo, ha dichiarato questa signora dal nome nobile e dal cognome suggestivo, verrà restituito valore a quello che, in mancanza di adeguati rituali, verrebbe considerato esattamente ciò che è: un rifiuto ospedaliero.
Le mancate madri avranno a disposizione seicento metri quadri di terreno consacrato, un angolo di paradiso ritagliato nel cimitero del Laurentino, per piangere comodamente e disperatamente, ciò che poteva essere e non è stato. Alla vicesindaco va tutta la nostra estenuata riconoscenza: alla fatica fisica e psichica, si aggiungerà quel tocco di martirio, cui il genere femminile sembra crudelmente condannato. Un aborto è sempre un’esperienza dolorosa, spontaneo o volontario, non fa differenza.
È sempre una rinuncia. Un trauma. Una ferita. Ma non è un infanticidio. Nel buio del grembo delle donne non c’è “un bimbo” in miniatura. C’è un ovulo fecondato. Chiamarlo bimbo, insediarlo in un culla simbolica o, fisicamente, in una tomba-culla, ed evocare, come alternativa laica, la sozzura, il pattume, il buio di una discarica, è una operazione culturalmente vergognosa. Una vera e propria violenza a danno delle donne.
Ma alla Banda del Campidoglio che cosa importa? Si avvicina la campagna elettorale. Roma è sporca e strozzata dal traffico, offesa da rigurgiti di razzismo autorizzato, sempre meno sicura, sempre più provinciale, disordinata, inefficiente, qualcosa bisogna ben inventarsi per portare a casa un qualche bottino nelle urne, avendo governato così male. Magari il sempre appetibile voto dei cattolici.
Fate pure. Noi siamo sempre qui. Noi donne. Con il nostro corpo e la nostra coscienza, con la nostra sensibilità e la nostra responsabilità di addette alla produzione di essere umani, siamo, comunque e sempre, a disposizione di qualsiasi, qualsiasi, patto scellerato fra uomini, celebrato magari, come di consueto, da una donna gioiosamente subalterna, perché gli affari emozionali, si sa, li devono gestire le signore. Siamo qui, servitevi pure.
“Roma capitale finalmente garantisce un diritto fino a oggi negato, quello di rispettare e ricordare i bambini che non sono mai venuti al mondo”, ha detto Fabrizio Santori, assessore alla sicurezza. E quella bambina di sei mesi ammazzata, ieri, da un paio di balordi razzisti mentre era fra le braccia del papà, cinese, nel corso di una rapina, a Tor Pignattara? Nessun commento, assessore? Non sarebbe più urgente assicurare un futuro a lei e ai bambini come lei: nati e costretti a vivere nella periferia di quella che era una città tollerante e pacifica e oggi sta fra la Padania e il Bronx?
Il Fatto Quotidiano, 6 gennaio 2012