Si parla di Euro a due velocità, ma per il momento la divisione principale riguarda il mondo del lavoro. Sì perché, statistiche alla mano, l’Europa appare divisa tra paesi in cui la disoccupazione aumenta e altri in cui rimane stabile o addirittura è in diminuzione. Nel primo gruppo troviamo Spagna, Grecia, Portogallo e, purtroppo, l’Italia. Tra i secondi Germania, Austria e Olanda. Sotto accusa le misure di austerità messe in atto in molti stati, specie nell’area mediterranea. E qualcuno comincia a domandarsi: ma è stata davvero la scelta migliore?

Le statistiche Eurostat pubblicate ieri dalla Commissione europea parlano chiaro e confermano il trend dello scorso novembre. Il 10,3 per cento degli europei area Euro non lavora, percentuale che scende al 9,8 se consideriamo tutti i 27 paesi Ue. Questo vuol dire rispettivamente 723mila disoccupati: persone, anche con famiglia a carico, che non se la devono passare bene visti anche i tagli alla spesa sociale e all’assistenza pubblica. L’apice lo si riscontra in Spagna, dove la disoccupazione ormai sfiora il 23 per cento (22,9) rispetto al 20,4 di un anno fa. Male anche Grecia (18,8) e Lituania (15.3). Bel passo indietro anche a Cipro, che nel corso di un anno è passato dal 6 al 9,1 per cento.

Malissimo la Francia, che a metà 2012 arriverà al 10 per cento di disoccupati (oggi al 9,8), tanto che Nicolas Sarkozy, per il quale le elezioni sono ormai alle porte e l’ombra del socialista Hollande incombe minacciosa, ha riconosciuto che “coloro che hanno perduto il loro impiego devono essere l’obiettivo di tutte le nostre attenzioni”. Per questo l’Eliseo cerca di “pensare positivo”, promettendo una crescita del Pil del 1 per cento nel 2012. Ma l’Ocse stima piuttosto uno 0,3 per cento, tant’è che un terzo piano di rigore da almeno 7,5 miliardi prende sempre più corpo. Ecco allora che il partito del presidente, l’Ump, si sta spremendo le meningi per trovare la ricetta magica che rilanci la crescita, tamponi la disoccupazione e possibilmente non faccia fuggire gli elettori.

Sotto accusa cominciano a finire proprio quelle misure di austerità imposte da alcuni governi con il bene placet di Bruxelles, vedasi Grecia, Portogallo, Spagna e da ultima anche Italia. Un’ipotesi che non è più tabù proprio tra gli economisti, tra tutti Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001. In un’intervista al quotidiano argentino Pagina12, proprio in occasione del decennale del default di Buenos Aires, ha condannato le misure di austerità europee adottate in risposta alla crisi. “Negli anni Novanta, fu proprio l’Fmi a guidare l’Argentina nell’applicazione delle politiche di austerità, con risultati disastrosi. Nell’eurozona non sono riusciti ad imparare questa lezione”.

Ma il Vecchio continente, prima ancora della sua moneta, cammina già a due velocità in tema di lavoro. Basta dare uno sguardo alla Germania della Merkel per vedere un tasso di disoccupazione del 5,5 per cento, percentuale più bassa da vent’anni a questa parte. Possibile? A quanto pare si, visto che Berlino è riuscito a creare mezzo milione di nuovi posti di lavoro nel 2011, l’annus horribilis della crisi economica. Lo ha sottolineato sabato scorso Angela Merkel in conferenza stampa con una certa soddisfazione. D’altronde come darle torto. “La Germania va bene anche se l’anno prossimo sarà un po’ più duro del 2011. L’intera economia tedesca, nonostante un recente calo nelle esportazioni, è cresciuta del 3 per cento nel 2011, secondo l’ufficio federale delle statistiche.

Nel club dei più forti rientrano anche Olanda e Lussemburgo (4.9 %) e Austria (4 %), tre Paesi che si inseriscono di diritto tra il ristretto club degli AAA – anche se in questo caso parliamo di fiducia finanziaria – che “qualcuno” vorrebbe vedere staccarsi dall’Europa meno virtuosa. E Bruxelles? Se consideriamo la regione di Bruxelles-Capitale, quindi non la capitale d’Europa, ci troviamo di fronte ad una curiosa dicotomia: disoccupazione al 20 per cento calmierata dalla parte parte fiamminga della regione. Si perché il Belgio meglio di tutti fotografa la situazione spaccata dell’Europa sul lavoro: disoccupazione al 6,5 per cento nelle Fiandre e 13,7 per cento nella Vallonia. Ecco uno dei motivi per cui alcuni partiti fiamminghi vogliono dividere il Paese. Che possa capitare lo stesso con l’Europa?

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