Il rapporto Euromobility traccia un quadro sconsolante delle nostre città: il 70 per cento dei cittadini usa un mezzo privato per gli spostamenti e l'80 non sa cosa sia il car sharing. Scende la percentuale di veicoli per abitante, ma rimane sempre la più alta d'Europa
La mobilità è ormai un aspetto centrale nella nostra quotidianità, con pesanti ricadute non solo sulla qualità della vita, dell’aria e in generale sulla vivibilità delle città, ma anche sul portafogli. Il problema, in Italia, sono le lacune nella mobilità sostenibile: trasporti pubblici, piste ciclabili, condivisione delle auto sono tutte realtà che la maggior parte della popolazione del Belpaese non prende minimamente in considerazione. Secondo Euromobility 2011, l’80 per cento degli italiani nemmeno sa cosa sia il car sharing.
E i risultati si vedono: se a Monaco di Baviera è possibile condividere 345 autovetture, a Torino, città con all’incirca lo stesso numero di abitanti e con il car sharing più sviluppato d’Italia, ce ne sono a disposizione appena 113. Peggio ancora se si parla di bike sharing. Nel Belpaese è inimmaginabile raggiungere città come Parigi, con 20.000 biciclette e 1.800 stazioni, o Londra, con 6.000 bici e 400 stazioni. Si potrebbe almeno provare ad avvicinarsi a Bruxelles, dove i cicli in condivisione sono “solo” 2.500 ed i punti da cui prelevarle 80. Peccato che nemmeno la somma di Milano, Roma, Torino, Brescia e Bergamo raggiungono la capitale del Belgio.
Bassi anche gli standard emissivi, soprattutto nelle città del sud. Come Napoli, in cui quasi il 60 per cento dei veicoli appartiene alla classe euro 2 o inferiori. Dove invece gli standard sono più elevati, si rischia di annullarne gli effetti positivi con un’eccessiva quantità di veicoli circolanti. L’esempio più eclatante è quello di Aosta, in cui l’80 per cento delle vetture appartiene alle categorie euro 4 o euro 5, ma l’indice di motorizzazione è del 201,64 per cento.
Fra gli aspetti positivi si può annoverare il calo della percentuale di autoveicoli per abitante che a livello nazionale è scesa dal 61,13 del 2009 al 60,67 per cento del 2010, ma di cui l’Italia mantiene saldamente il primato europeo. Bene anche il miglioramento dei dati relativi a PM10 e polveri sottili, di cui i livelli imposti dalla legge – 40 microgrammi per metro cubo – sono stati superati solamente in un quinto delle città analizzate.
Un dato incoraggiante, in tempi di crisi. Quello legato alla mobilità è infatti un problema di costi, oltre che di salute e qualità della vita. Annualmente i problemi legati alla mobilità urbana in Italia hanno già causato perdite per decine di miliardi di euro, mentre le famiglie, secondo lo studio Luiss/Formiche, spendono per il trasporto privato circa 170 miliardi di euro (50 miliardi solo di tassazione) a fronte di una spesa totale per il trasporto collettivo di circa 10 miliardi.
Ciononostante, nell’analisi comparata di Euromobility 2011 emerge che, nei tragitti extraurbani, la tendenza a muoversi individualmente con il mezzo privato piuttosto che con quelli pubblici è in aumento. “I sedili vuoti rappresentano un giacimento da svariati miliardi di euro all’anno”, fa presente l’associazione “mangiatraffico” Jungo, attiva in diverse provincie del nord: “Si tratta del più grande spreco energetico della storia”.
“Una situazione inutile ed evitabile”, scrive sul proprio sito l’associazione trentina, perché “se si raddoppiasse il tasso di riempimento delle autovetture, ogni anno gli italiani si arricchirebbero senza sforzo di circa 5 miliardi di euro”. “Senza considerare le accise”, aggiungono, e “senza contare l’incommensurabile beneficio ambientale, né l’enorme riduzione di spesa sanitaria”.
Del resto, in termini di mobilità anche per la Commissione europea l’obiettivo rimane quello di “sperimentare soluzioni innovative”; dimezzando entro il 2030 ed eliminando entro il 2050 “l’uso delle autovetture con carburanti tradizionali nei trasporti urbani”, e introducendo entro il 2030 “un sistema di logistica urbana a zero emissioni di Co2”.