“Monti può trovare un rapporto diretto con i segretari dei partiti sulle questioni internazionali. E poi ci vuole una sede tra governo e gruppi parlamentari per stabilire un’agenda. Con l’anno che comincia bisogna darsi un metodo”. A chiedere al premier un confronto ordinato ma soprattutto bilaterale è il “secondo azionista” (dopo il Pdl) del governo tecnico in carica, cioè il segretario del Partito democratico Pierluigi Bersani. In un’intervista a La Stampa il leader del Pd sottolinea che per superare la crisi serve insistere sulla crescita e premere perchè l’Europa faccia la sua parte. Poi propone una road map in tre punti: “In Europa – spiega Bersani – ancora non facciamo gesti inequivocabili che dicano: difenderemo l’euro, di qui non si passa. Sulle questioni europee e internazionali, Monti può trovare un rapporto diretto con i segretari dei partiti che gli consenta di rappresentare posizioni unitarie e nazionali su punti strategici; poi occorre un modo ordinario e ordinato di avere una sede tra governo e gruppi parlamentari che consenta di costruire l’agenda di lavoro e renderla effettiva; infine, bisogna prendere una iniziativa – e io farò la mia parte – per definire un’agenda per riforme istituzionali e costituzionali: per altro, sulla modifica dei regolamenti parlamentari, sul bicameralismo e la riduzione dei membri di Camera e Senato c’eun lavoro sedimentato. Anche sulla legge elettorale si è cominciato a lavorare. E’ chiaro, inoltre, che questa terza questione accentuerebbe la stabilita’ del governo. Insomma: penso che sia ora che i leader dei partiti dicano esplicitamente e pubblicamente se sono disposti a convenire su un’agenda da affidare, poi, ai gruppi parlamentari”.
“Con la frusta della globalizzazione – continua Bersani – sull’Europa è calata una nuova ideologia, interpretata dalla destra e subita troppo passivamente dalla sinistra. Una ideologia di ripiegamento, difensiva, corporativa, che dice: in economia i mercati hanno sempre ragione, in politica ognuno faccia gli affari suoi”. Bersani, sulla crisi, afferma poi che “l’universo degli economisti, degli osservatori e del mondo politico conviene sul fatto che non siamo su una strada corretta. In Europa ancora non facciamo gesti inequivocabili che dicano: difenderemo l’euro, di qui non si passa. Questo messaggio non è arrivato: anzi, non è neanche partito”.