Nel giorno in cui il ministro per lo Sviluppo economico Corrado Passera lancia le liberalizzazioni del governo annunciando, in un’intervista fiume al Corriere della Sera, che l’esecutivo farà un decreto al mese, i radicali italiani prendono la palla al balzo e tornano a perorare la causa di una liberalizzazione molto particolare: quella della marijuana e delle droghe leggere. Con una proposta choc: autodenunciarsi nelle questure di tutto il Paese.
L’iniziativa la spiega direttamente il segretario del partito Mario Staderini: “In Italia ci sono 117 uffici di polizia e quattro milioni di consumatori di droghe leggere. Basterebbe che ogni giorno cento di loro, coordinandosi online, si recassero a consegnare spontaneamente le loro sostanze e le questure rimarrebbero completamente intasate”.
Un gesto di disobbedienza civile che ha una valenza politica molto precisa. “Quella di dimostrare – spiega Staderini – che il proibizionismo ha fallito, non funziona e non conviene. La gente deve capire che, grazie al fiume di denaro che arriva dalle droghe, le mafie hanno inquinato le nostre economie, hanno invaso le nostre città e corrompono lo Stato”.
Con questo gesto i radicali vogliono riaprire il dibattito su un tema che nel Belpaese è rimasto a lungo sopito. “In tutto l’Occidente è in atto un ripensamento profondo sulla war on drugs – attacca il segretario – mentre l’Italia, con la sua iper-proibizionista Legge Fini-Giovanardi sulle sostanze, sta alla finestra”.
Lo scorso giugno fu la Global Commission on Drug Policy, organismo composto da personalità di spicco come Javier Solana e Kofi Annan, a suonare il de profundis alla guerra alla droga. In un rapporto presentato alle Nazioni unite, gli esperti del think tank scrivevano che “le politiche di criminalizzazione e le misure repressive hanno chiaramente fallito” con “conseguenze devastanti per gli individui e le comunità di tutto il mondo”. La strada alternativa da percorrere? Secondo la commissione è la “riduzione del danno”, contrastando prima di tutto il crimine organizzato. In una parola: legalizzare.
Se ne parlerà il prossimo marzo a Vienna dove a sede l’Unodc, l’agenzia Onu contro la droga e il crimine, quando gli antiproibizionisti di tutto il mondo si aspetteranno, almeno a livello internazionale, un cambio di passo.
In attesa di quell’incontro, l’attenzione a livello globale continua a crescere, basti pensare che l’anno scorso, quando Youtube organizzò un dibattito fra il presidente Obama e gli internauti americani, la domanda più cliccata era proprio la posizione di Mr. President sulla legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati. Più a Sud, i governi di Messico e Colombia, i due principali paesi produttori di sostanze assieme all’Afghanistan, stanno seriamente prendendo in considerazione l’arma della liberalizzazione di alcune sostanze come estrema ratio per combattere il narcotraffico che da anni li tiene sotto scacco.
E l’Italia? Nonostante Roma abbia una delle leggi più proibizioniste d’Europa, il numero di cittadini che usa stupefacenti è impressionante: 4 milioni e 300mila, di cui 3 milioni sono consumatori abituali (i pendolari di tutta Italia sono 4 milioni e mezzo, per avere un ordine di grandezza). Questi dati sono contenuti nell’edizione 2011 del Libro bianco della Commissione di studio sul mercato illegale delle droghe presieduta dalla professoressa Carla Rossi e istituita dal Consiglio italiano per le scienze sociali. Numeri che aiutano a riflettere anche sugli aspetti criminogeni di normative troppo severe. Sì, perché i piccoli spacciatori sono tra i 250 e i 400mila e su 67mila detenuti nelle patrie galere, ben 28mila sono reclusi per aver violato la Fini-Giovanardi.
La legge in vigore è condannata senza appello dai radicali. “Quella normativa – spiega Staderini – ha fatto aumentare il fatturato di una sola azienda: quello della criminalità organizzata. E’ una legge con un contenuto intrinsecamente fascista: mette fuori legge quattro milioni di persone, aumenta i poteri extra ordinem della polizia e ha un effetto negativo sui diritti umani, basta pensare ai casi Cucchi, Aldrovandi e Bianzino”.
Secondo il segretario, è proprio il rapporto fra consumo e carcere il grande assente dal dibattito pubblico, a cominciare dalla tv di Stato: “Vent’anni fa Costanzo organizzava dibattiti tra Muccioli e Pannella. Oggi è il deserto”. E’ per questo che i radicali hanno lanciato un’altra campagna: “Sul nostro sito c’è un modulo da scaricare e inviare per chiedere alla Rai di fare vera informazione sui consumi e sulle carceri. Vogliamo che permetta di giudicare i risultati delle leggi proibizioniste e discutere quali sono stati i risultati”.
Chissà se il governo, pronto a varare la lenzuolata di liberalizzazioni, non voglia prendere in considerazione anche questa possibilità. Soprattutto oggi che a detenere le deleghe sulle tossicodipendenze non è più lo zar anti-droga Carlo Giovanardi.