L’imputazione di Amir Mirzaei Hekmati è di aver avuto un addestramento speciale in quanto ex marine, prima di essere inviato in Iran per una presunta missione di intelligence. Il processo contro di lui si è svolto quando gli Stati Uniti hanno annunciato nuove pesanti sanzioni contro l’Iran per il suo programma nucleare. Il Dipartimento di Stato americano ha chiesto l’immediato rilascio
Una corte di giustizia iraniana giudica colpevole di spionaggio un uomo statunitense di origine iraniana accusandolo di lavorare per la Cia e lo condanna a morte, accelerando la tensione fra Iran e Stati Uniti. La notizia è stata data stamattina dalla radio di Stato. L’imputazione di Amir Mirzaei Hekmati è di aver avuto un addestramento speciale in quanto ex marine e aver servito nelle basi militari americane in Iraq e Afghanistan, prima di essere inviato in Iran per una presunta missione di intelligence. Secondo la legge iraniana l’uomo ha 20 giorni per ricorrere all’appello.
Hekmati, 28 anni, ufficialmente è un traduttore militare dall’arabo. Nato in Arizona da famiglia iraniana, ha studiato in Michigan. Il padre, professore di college a Flint, una città di 100.000 abitanti a circa 100 chilometri da Detroit, ha dichiarato che il figlio non è una spia ma è andato in Iran circa 4 mesi fa per fare visita alle nonne. Hekmati ha la nazionalità sia iraniana sia americana ma l’Iran lo considera solo cittadino iraniano perché la legge del paese non riconosce la doppia cittadinanza.
Il processo contro di lui si è svolto quando gli Stati Uniti hanno annunciato nuove pesanti sanzioni contro l’Iran per il suo programma nucleare, che Washington pensa sia sviluppato non per fini civili ma per possibili fini bellici. L’Iran rivendica da anni che i reattori nucleari servono per la produzione di energia e per la ricerca. Stamattina però fonti diplomatiche hanno confermato che il paese ha cominciato ad arricchire l’uranio al 20% in un bunker sotterraneo vicino alla città santa di Qom. Il materiale tenuto nel bunker pare che possa essere facilmente convertito in armi nucleari.
Sin da febbraio Tehran aveva cominciato ad arricchire una parte delle sue riserve di uranio al 20%, un livello molto più alto del 3,5% dell’uranio arricchito nel maggiore impianto. Questa percentuale fa sì che il prodotto possa essere tramutato molto in fretta in materiale fissile, cioè in materiale capace di sviluppare e sostenere una reazione a catena di fissione nucleare. Per la produzione di febbraio Tehran aveva dichiarato che l’uranio al 20% sarebbe servito per produrre carburante per un reattore della capitale usato per produrre isotopi radioattivi impiegati in medicina, per diagnosticare diverse patologie tumorali e per distruggere le cellule maligne.
La tensione fra Iran e Stati Uniti è salita a livelli allarmanti dalla fine di dicembre quando Tehran ha minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz, che è la via principale del 20% del transito internazionale di petrolio dal Golfo. Leon Panetta, ex direttore della Cia e dal luglio 2011 Segretario alla Difesa, ha dichiarato che la chiusura dello stretto traccerebbe “una linea rossa” e che gli Stati Uniti “lo farebbero riaprire”. Agli inizi di gennaio il presidente Obama ha imposto nuove sanzioni sulle istituzioni finanziarie iraniane che trattano con la banca centrale dell’Iran, in aggiunta a quelle già esistenti. Questa misura dovrebbe fare una tremenda pressione sull’economia iraniana, specialmente sulla capacità di vendere petrolio.
Il Dipartimento di Stato americano ha chiesto l’immediato rilascio di Hekmati, che la Corte Rivoluzionaria di Teheran ha accusato di lavorare in un paese ostile, di appartenere alla Cia e di cercare di far accusare l’Iran di coinvolgimento nel terrorismo. La corte ha definito Hekmati un mohareb, un termine islamico che significa “criminale” ma che i media iraniani in inglese traducono con “nemico di Dio”. È stato anche definito mofsed-e-filarz, cioè colpevole di reato, un termine che nella Repubblica Islamica dell’Iran viene tradotto in inglese come “colui che diffonde la corruzione sulla terra”. Per entrambi i reati è prevista la pena di morte, che a dicembre la pubblica accusa aveva già esplicitamente chiesto. La sentenza di oggi viene vista come una ritorsione, come un avvertimento e una minaccia contro gli Stati Uniti.
Il governo statunitense ha chiesto alle autorità iraniane di permettere ai diplomatici svizzeri di andare a visitare il prigioniero. La Svizzera rappresenta gli interessi statunitensi perché Iran e Stati Uniti non hanno relazioni diplomatiche. Il 18 dicembre scorso la televisione nazionale iraniana ha trasmesso un video in cui Hekmati confessava di fare parte di un complotto per infiltrarsi nel Ministero delle informazioni e della sicurezza nazionale, cioè nel servizio di spionaggio iraniano. Nello stesso giorno un comunicato stampa del ministero dichiarava che i suoi agenti avevano identificato Hekmati prima del suo arrivo in Iran dall’aeroporto militare di Bagram, in Afghanistan. Ci si chiede perché non gli abbiano negato il visto.