Nei giorni scorsi ci sono state molte manifestazioni spontanee di cittadini. E i sindacati accusano le forze dell'ordine di aver ucciso anche un manifestante. Intanto proseguono le code davanti ai distributori
Il braccio di ferro tra il presidente nigeriano Goodluck Jonathan e i sindacati è arrivato al dunque. Oggi, nel più popoloso paese africano (160 milioni di abitanti, molti dei quali vivono con meno di due dollari al giorno), inizia lo sciopero generale decretato dalle due principali federazioni sindacali per contestare la decisione del governo federale di tagliare i sussidi per l’acquisto di carburante.
Nel paese, alle prese con le violenze nel nord innescate dalle attività del gruppo terroristico Boko Haram, la tensione è molto alta. Nella capitale Abuja sono stati schierati altri 15 mila agenti a presidiare le strade, dove si attendono cortei e manifestazioni dei cittadini, che non hanno accettato la decisione del governo. Dal primo gennaio, infatti, il presidente Jonathan ha tagliato i sussidi governativi che consentono di calmierare i prezzi dei carburanti, usati in Nigeria non solo per il trasporto ma anche per i gruppi elettrogeni che spesso sono l’unica fonte di energia elettrica, specialmente nei quartieri poveri delle città e nelle aree rurali. Immediatamente, il prezzo della benzina è raddoppiato, trascinando al rialzo anche i prezzi dei trasporti e di altri beni e servizi primari. Secondo il governo, gli 8 miliardi di dollari risparmiati ogni anno dal taglio dei sussidi, saranno usati per migliorare l’infrastruttura del paese. Una promessa che non è bastata a convincere i cittadini e a vincere la resistenza sindacale.
Sabato sera, per cercare di scongiurare lo sciopero – che rischia di paralizzare il paese, primo esportatore di greggio in Africa, ottavo nel mondo – il presidente Jonathan ha tenuto un discorso televisivo. Il presidente ha promesso di tagliare i salari dell’esecutivo del 25 per cento e di migliorare il trasporto pubblico, per consentire ai nigeriani di spendere meno. “Per salvare la Nigeria dobbiamo tutti fare dei sacrfici”, ha detto Jonathan. Il presidente, però, è isolato. Anche il Congresso federale, in una sessione speciale convocata di domenica, ha chiesto al governo di reintrodurre i sussidi. L’esecutivo non sembra intenzionato a cedere, anche se già altri governi precedenti hanno tentato di abolire i sussidi ma sono stati poi costretti rivedere i programmi.
Nei giorni scorsi, peraltro, ci sono state molte manifestazioni spontanee di cittadini, in alcuni casi represse duramente dalla polizia che non ha lesinato gas lacrimogeni e manganellate. I sindacati accusano gli agenti di aver ucciso un manifestante, durante uno dei cortei della scorsa settimana, un’accusa che la polizia respinge sostenendo che l’uccisione è avvenuta durante una rissa.
In questo clima, già molto nervoso, i sindacati hanno promesso, con un comunicato stampa congiunto diffuso qualche giorno fa, che lo sciopero andrà avanti fino a quando il governo non ritirerà il decreto incriminato, nonostante un tribunale abbia giudicato illegale lo sciopero indefinito. L’aeroporto della capitale federale Abuja è stato occupato da una folla di centinaia di persone e sempre nella capitale nella notte tra domenica e lunedì la polizia è intervenuta con la forza per smantellare un accampamento di protesta organizzato dai manifestanti più giovani in Piazza dell’Aquila. Davanti ai distributori di benzina continuano code lunghissime di cittadini che cercano di accaparrare quanto più carburante possibile, mentre al mercato nero i prezzi continuano a salire. I nigeriani ricordano un altro braccio di ferro simile, nel 2003, che si concluse con un accordo, dopo che il paese era arrivato alla completa paralisi: il governo accettò un compromesso e si accontentò di ridurre i sussidi anziché tagliarli del tutto.
di Joseph Zarlingo