Un referendum tra tutti i dipendenti per chiedere l’azzeramento dei vertici della Rai. Nessuna marcia indietro dei sindacati dopo l’annuncio del premier Mario Monti di una “prossima riforma” del servizio pubblico. Tanto che oggi entra nel vivo l’operazione di raccolta delle firme presso i 13mila dipendenti dell’azienda. Un solo quesito: “Siete favorevoli a chiedere le dimissioni del direttore generale Lorenza Lei e dell’intero Cda?”.
Nel mirino resta il piano di risanamento dei bilanci varato dai vertici nell’ultima riunione prima della pausa natalizia e il fatto che la direzione non abbia cambiato idea rifiutandosi di convocare le parti sociali, anche dopo lo sciopero di fine dicembre con adesioni superiori al 90 per cento.
E allora il livello della protesta si alza. Già questa mattina, presso la sede dello Snater di Roma, si sono incontrate tutte le sigle sindacali dell’universo Rai per dar vita a una segreteria nazionale unitaria. Domani, invece, alle 11 ci sarà il coordinamento nazionale di tutti i rappresentanti sindacali dei lavoratori della tv di Stato. Nel pomeriggio, sotto la sede di via Teulada, si terrà poi un presidio per manifestare e condividere con i lavoratori il percorso di lotta. Il momento scelto non è casuale: nel pomeriggio arriveranno ministri e politici per prendere parte alla diretta di “Porta a Porta” e la presenza del sit-in servirà anche per consegnare loro le richieste dei lavoratori.
Ma cosa prevede nello specifico il famigerato progetto varato da Lei? Il testo uscito dal Cda, predispone una serie di interventi di contenimento dei costi “in risposta alla crisi economica che coinvolge tanta parte del Paese”. Il piano industriale 2010-2012 taglia di 170 milioni di euro i costi per il personale, una cifra che comporterà la decurtazione degli stipendi tra il 18 e il 20 per cento o una riduzione della forza lavoro. Ma c’è di più. L’operazione infatti prevede la cessione di Rai Way, Rai International, Rai Corporation, Rai Med e molti uffici di corrispondenza all’estero.
Come l’abbiano presa i sindacati è riassunto in uno dei tanti striscioni che hanno scandito la loro protesta: “Via i parassiti dalla Rai”. Perché il buco dell’azienda non sarebbe dovuto ai costi di personale e strutture, ma alla sistematica emorragia di risorse verso l’esterno, ai compensi stratosferici per le alte sfere e alle commesse girate agli amici dei potenti di turno. Il passivo registrato nel 2012 ammonta a poco più di 200 milioni “certo non attribuibile al poco impegno o alle scarse capacità degli operatori, ma alla gestione discutibile di certi dirigenti”, sostiene Emilio Miceli, segretario generale Slc Cgil che accusa: “C’è un sistema di controllo in Rai che, unico in Europa, vede la politica attingere all’azienda pubblica tramite il suo braccio armato che è il Cda. L’organismo controlla tutto, ma usa il sistema delle consulenze esterne e delle commesse come centro di potere. Questa è la zona grigia che è difficile portare alla luce del sole, figuriamoci intaccarla. Allora resta solo il costo del personale da ridurre sul quale puntualmente si abbatte la scure dei manager aziendali”. La riprova è nel “controbilancio” realizzato dalla Cgil per gli anni 2008-2010 che ha rivelato dove sta realmente lo squilibrio dei conti. “Sia quando le produzioni, interne o acquistate, salgono, sia quando, come oggi, scendono perché intervengono tagli a causa della crisi, le collaborazioni esterne sono sempre rigide, piatte.
E’ la dimostrazione che la domanda della politica verso la Rai, soddisfatta attraverso la ragnatela infinita delle collaborazioni, dello spreco e delle clientele, rimane sempre inalterata: è una variabile indipendente”. A rimarcarlo anche il segretario nazionale dello Snater, Piero Pellegrino, che oggi ospiterà la prima riunione per fare il punto sul referendum. “In Rai ci sono 400 registi ma le scelte dettate dalla direzione fanno sì che l’80 per cento delle produzioni sia affidato a registi esterni. Così il cittadino paga due volte: per il personale assunto cui viene sistematicamente sottratto il lavoro e per far lavorare quelli che entrano ed escono dalla Rai attraverso i corridoi della politica. E’ questo terminale sensibile agli interessi di pochi che bisogna tagliare, non la base del servizio pubblico che interesse di tutti ”. Su tutto questo, la parola passa ai lavoratori.