Ogni epoca storica custodisce i suoi testi a fronte, le sue icone fisse. Esatto, le sue opere di riferimento. La rivoluzione francese può vantare il celebre quadrone di Delacroix che mostra la “Libertà” alla testa del “Popolo”; il tempo di John F. Kennedy ha dalla sua Andy Warhol e gli altri della Pop art con Marilyn, Liz e i dollaroni come carta da parati.
Quanto invece all’Italia del dopo-Berlusconi, siamo certi che avrà orgogliosamente modo di fregiarsi di uno spot pubblicitario destinato a convincere i telespettatori restii a giocare a tombola, così da farsi sedurre della fortuna, così da svoltare. Il guadagno non è per nulla assicurato, e tuttavia in tempi di vacche magre, volate via dagli scranni del Palazzo quelle altre siliconate, non resta che mettersi in ascolto della dea bendata, fosse anche una vera stronza, una sòla, e questo perché non si sa mai. D’altronde, anche Gaucci e la Tulliani, giusto per citare un caso di ammirati benestanti, tentarono la sorte al Superenalotto, col risultato di vincere, nel 1998, due miliardi e duecento milioni delle vecchie lire. “Che so’ meno de quelli, io?”
Lo spot-icona-summa del tempo di Mario Monti, con le minacce di default lì presenti sul comodino d’ogni onesta abitazione accanto alle gocce di Micoren, corrisponde a un sito dove si ha modo di togliersi la soddisfazione – tanto puerile quanto magica – di giocare a tombola, una categoria dello spirito ludico nazionale, un nome – tombola, magari con tanto di punto esclamativo finale – che suggerisce location domestiche, tra grottino, tavernetta e salone con poster di un tramonto tropicale con gli immancabili fagioli a segnare i numeri sulle cartelle, e poi un’antica saggezza folklorica modello base (dunque con la K!) affidata alla smorfia, cioè a una forma di “kabbalah” rionale che odora sia di caponata sia di “fricandeau”, con le facce dei nonni e degli zii, poco importa se viventi o già trapassati, lì a far capolino in una sorta di eterno ritorno dell’infanzia, della famiglia, dell’odore di cavolo e di conseguenti scoregge.
Bene, lo spot di tombola.it gioca proprio su questo tavolo da pranzo (coperto del suo verde mollettone) la propria suggestione onirica, il proprio potere infingardamente seduttivo agli occhi dei futuri bingo addict. Dimenticavo, il “claim”, cioè lo slogan che serve a rendere convincente il prodotto, dice proprio “Altro che bingo… tutto è tombola”, così da piazzare l’ideale pallina delle estrazioni sul soffio d’aria del nostro “genius loci”, non a Las Vegas bensì a casa di zi’ Augusto o del refettorio parrocchiale, a Mostacciano, dai.
Esemplare quindi che lo spot mostri una sala d’attesa d’ospedale (di più, un Cup, dove il tempo surclassa ogni relatività), dove il meglio dei pensieri sull’incertezza addirittura ontologica dell’essere viene a galla insieme al ricordo dei morti, delle malattie, dei dispiaceri, delle punture suppurate, delle partite Iva delle ditte di onoranze funebri, un senso di soffocamento cui non resta che rispondere precipitandosi a registrarsi sul sito della tombola, la tua futura ossessione. Scusate, ma c’è un numero per indicare uno che si rovina direttamente dal cesso di casa?
Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2012