Fatti non foste per viver tra i rifiuti. Parafrasando Dante, il succo della sentenza della Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo che ha condannato lo Stato Italiano per la mala gestione dell’emergenza spazzatura in Campania dal 1994 in poi è tutta qui: lo Stato non può costringere i suoi abitanti a vivere immersi nella monnezza. Come purtroppo è accaduto, assai spesso, durante le periodiche crisi che hanno afflitto la Regione e il territorio napoletano in particolare. E se lo fa, deve essere condannato. Anche se la sentenza, a leggerla con attenzione, è piuttosto lieve.

La Corte ha dato ragione al ricorso presentato da 18 cittadini di Somma Vesuviana, città di 35000 abitanti racchiusi in una superficie di quasi 31 chilometri quadrati, a poca distanza da Napoli. Non riconoscendo però il danno alla salute, ma soltanto il diritto alla salvaguardia della vita privata e familiare.

Secondo i giudici della Corte Europea, gli studi scientifici presentati dai ricorrenti sull’esistenza di un legame tra l’aumento dei casi di cancro e l’amministrazione dello smaltimento dei rifiuti in Campania arrivano a risultati divergenti e non configurano un nesso di causa-effetto. Con lo stesso provvedimento, la Corte di Strasburgo non ha riconosciuto l’indennizzo di 15mila euro per danni morali chiesto dai ricorrenti, limitandosi a sentenziare che la constatazione della violazione del loro diritto alla vita privata e familiare è da considerarsi una riparazione sufficiente del danno morale subìto. I giudici hanno anche stabilito che lo Stato italiano dovrà versare all’avvocato Errico di Lorenzo, il legale del gruppo nonché uno dei 18 ricorrenti, 2500 euro per le spese legali sostenute. L’avvocato aveva richiesto oltre 20.000 euro.

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