L’ultimo episodio è accaduto pochi giorni fa con un furto sospetto nei locali di Libera. Per Sabaudia, luogo ritrovo della Roma bene, non c’è pace. Il prefetto, nonostante le ombre di camorra, non ha avviato le procedure per l’invio di una commissione di accesso al comune, guidato dal sindaco Maurizio Lucci, in quota centrodestra. Tutto ruota intorno alla consigliera di maggioranza Rosa Di Maio, finita implicata ( riciclaggio in concorso) in un processo che vedeva alla sbarra i vertici del clan Cava. Nel luglio scorso è stata assolta dal Tribunale di Avellino.
I guai per la famiglia, però, non sono finiti. Il suo nome, come quello degli altri familiari, compare tra i titolari dei beni confiscati dal Tribunale di Latina, a metà novembre. Un patrimonio, anche immobili a Sabaudia, valutato intorno ai 30 milioni di euro, finito sotto sigillo perché sproporzionato rispetto alle dichiarazioni rese al fisco dalla famiglia Di Maio. Vero dominus incontrastato è Salvatore Di Maio, padre della consigliera. A Salvatore Di Maio, inoltre, è stata applicata la misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, per un periodo di 3 anni. Neanche il processo per collusioni con il clan Cava è finito bene per Di Maio. Caduta l’aggravante di agevolazione della camorra, assolto in ordine al reato di riciclaggio, il padre della consigliera è stato condannato a 4 anni di carcere per estorsione, ma grazie all’indulto ha beneficiato di 3 anni di sconto di pena.
A fine dicembre sono uscite le motivazioni del collegio giudicante composto dai magistrati Paolo Cassano, Maria Cristina Rizzi, Giuseppe Riccardi. Il maxi processo, avviato dal pm Maria Antonietta Troncone e, poi da Francesco Soviero, vedeva alla sbarra 68 persone, comminati tre secoli e mezzo di carcere. Per Salvatore Di Maio la condanna è arrivata per un solo episodio relativo alla vendita all’asta di un immobile, prima di proprietà dello stesso Di Maio. “ Sarà assolto in appello”, assicurano i legali. Nella sentenza Salvatore Di Maio viene definito: “Smaliziato e spregiudicato, elementi tali da fondare altresì un giudizio di capacità a delinquere”. Ma a gettare ombre sulle relazioni di Di Maio sono i riscontri, finiti anche in sentenza, dei rapporti tra il padre della consigliera e il superboss Biagio Cava. Scambio di telefonate, risalenti al 2004, ammesse dallo stesso Di Maio. Un rapporto di amicizia che risale agli anni ottanta. Sulla presenza a Sabaudia degli interessi del famigerato clan Cava il tribunale precisa: “La presenza, magari anche frequente, di Cava Salvatore e di altri esponenti della famiglia Cava ( Cava Biagio e Avelli Ennio) a Sabaudia, pur lasciando supporre una penetrazione nel tessuto economico nella zona del basso Lazio, meritevole di più ampio e analitico approfondimento, non costituisce un valido e sufficiente elemento di prova per desumere che i beni(…) riferibili a Di Maio Salvatore ed ai suoi più stretti familiari siano frutto di riciclaggio dei proventi illeciti del clan”. Quell’approfondimento chiesto anche in interrogazioni parlamentari rispetto ai possibili condizionamenti sul comune di Sabaudia, ma che gli organi preposti, prefetto e ministro dell’interno, non hanno voluto avviare.