Prima di tutto voglio ringraziare le centinaia e centinaia di persone che mi hanno espresso o confermato la vicinanza e il sostegno, sia per i cambiamenti a Napoli, sia soprattutto per il ruolo di testimone che avrò nel processo sulle tangenti Amiat di Torino a partire da giovedì 12 gennaio.
Tanto per aggiornarci, la “novela” su Napoli è proseguita dopo il mio ultimo post, in cui facevo riferimento alle sciocchezze riportate dai giornali (per esempio, le “consulenze d’oro”, che visti gli importi forse dovremmo definire “placcate oro”…) e i tentativi impliciti di calunnia e distrazione dell’attenzione.
Il vicesindaco di Napoli, Tommaso Sodano ha risposto (ancora una volta sul sempre pronto Mattino) che le mie sarebbero “fantasie sabaude”. Ecco un altro meccanismo interessante, tipico di una certa, tradizionale, comunicazione politica: spostare l’attenzione, minimizzando e buttandola sul sarcasmo. Un po’ come scherzare sul bunga bunga e raccontare barzellette.
Io qui non voglio aggiungere altro, ho già descritto il mio punto di vista, mentre noto un po’ di affanno a costruire versioni diverse. Tornerò a parlare di Napoli appena con il sindaco De Magistris (con cui, lo dico per l’ennesima volta, non c’è stato alcuno strappo) definiremo nuovi progetti per la città.
Intanto, come anticipato, fra tre giorni (giovedì 12 gennaio, alle 9 al Palazzo di giustizia di Torino) comincia il processo sulle tangenti all’Amiat nel quale sarò testimone per aver denunciato una tentata corruzione nei miei confronti, quando ricoprivo il ruolo di vicepresidente dell’azienda nel 2007. Sul sito dei Signori Rossi – Corretti e non corrotti è raccontata in dettaglio tutta la vicenda che mi vede testimone.
Dopo averne parlato nel blog, mi ha chiamato un bravo giornalista de La Stampa, Andrea Rossi. Mi ha fatto sei domande: cinque su De Magistris e una sull’Amiat. Quest’ultima, eccola: “Si è scontrato con le pressioni della politica, come a Torino, dove la settimana prossima comincia il processo aperto da una sua denuncia”. E la mia risposta: “Attenzione: Torino è un caso di corruzione, Napoli è una riorganizzazione della squadra del sindaco. E a Torino io sono stato lasciato solo. La città non si è costituita parte civile né pagherà le spese processuali. Mi sembra di combattere una battaglia personale, non quella di chi si è opposto allo sperpero di 4,2 milioni e ha rifiutato una tangente”.
In risposta il vicesindaco di Torino, Tom Dealessandri, ha dichiarato sempre a La Stampa: “La città non ha subito alcun danno, perciò non può chiedere di rivalersi contro chicchessia. Amiat, invece, che come società Spa è del tutto autonoma, ed è l’azienda che ha subito un danno da questa vicenda e può considerarsi parte lesa, si può costituire. E l’ha fatto, per cui la polemica di Rossi mi sembra del tutto fuori luogo”.
Rispondere a questi commenti fa perdere tempo ed energie. E’ importante però far presente alcune cose. La prima è che una delibera del Consiglio comunale di Torino, del novembre 2010, approvata all’unanimità, richiedeva al sindaco Sergio Chiamparino di costituire il Comune parte civile al processo. Non avvenne e non ci furono vere risposte ufficiali e prese di posizione da parte del sindaco più amato dagli italiani.
La seconda è che Amiat si è sì costituita parte civile, tramite un comunicato “giustificatorio” dell’autunno 2010, ma non l’ha fatto per tutti i capi d’imputazione. Inoltre, io, nonostante quanto deliberato dal Consiglio comunale, dall’azienda non ho ricevuto alcuna chiamata per il supporto nelle spese legali, ma il mio avvocato mi ha già presentato le parcelle degli ultimi cinque anni (ossia da quando è iniziata giuridicamente questa storia).
Il punto decisivo comunque è che, essendo Amiat partecipata al 100% dal Comune di Torino, è a tutti gli effetti emanazione comunale, perciò un danno all’Amiat è un danno alla città. Cioè: qualunque danno inferto ad Amiat ricade de facto sui cittadini, che in ultima istanza sono chiamati a ripagarne i debiti, vuoi nella funzione di unico socio, vuoi nella funzione di unico cliente.
Ma questo è talmente ovvio per chiunque che mi sembra impossibile che Dealessandri abbia commesso un così clamoroso errore. Non voglio pensare male, altrimenti il vicesindaco, parafrasando il suo pari ruolo napoletano, potrebbe dirmi che ho delle “fantasie partenopee”… Perciò voglio credere che Dealessandri sia vittima anche lui di una cultura della pubblica amministrazione fondata sull’iper-burocratizzazione del pensiero, che porta inevitabilmente a scivoloni di questo tipo, quando parliamo di etica e correttezza.
Insieme a migliaia di cittadini torinesi, resto in attesa di una presa di posizione del nuovo sindaco Piero Fassino, il quale tra l’altro conosce la vicenda, perché ho avuto modo di comunicargliela di persona nel maggio scorso, in campagna elettorale. Mi rispose: “Vedremo”.
Il sindaco oggi, secondo me e secondo moltissimi torinesi che mi scrivono, deve pronunciarsi per evitare che capitino altri casi simili, per dare un segnale inequivocabile, per dichiarare ufficialmente che chi denuncia la corruzione viene appoggiato dalle istituzioni e non isolato. Corrompere infatti è talmente conveniente che chi tenta di far sprecare 4 milioni di euro pubblici al massimo rischia un anno con la condizionale (quindi niente carcere). Mentre chi denuncia rischia che l’accusa gli sia rivolta contro come diffamazione, viene isolato, spesso rischia il posto.
Come successo al “Signor Rossi” Francesco Scolamiero, ex dirigente Soges, che si è messo in contatto con il movimento dei Signori Rossi e che abbiamo coinvolto in una trasmissione di La7 (L’aria che tira) in cui ero ospite lo scorso 20 dicembre. La corruzione costa all’Italia 60 miliardi l’anno, finalmente i giornali lo stanno dicendo spesso. È il caso di usare tutte le dichiarazioni pubbliche e le sedi giudiziarie per intervenire ed educare a una nuova (antica) cultura: quella dell’etica e della correttezza.
E poi, scusate, le care “buone maniere” piemontesi: sono appena arrivato da Napoli e già mi ritrovo questa accoglienza del vicesindaco… “Polemiche fuori luogo” sembra proprio una di quelle frasi standard preconfezionate (come quelle degli sms: “Arrivo dopo”, “Sono in riunione”…). Lui ha liquidato la faccenda così. Quanto ci avrà messo? Un minuto? Forse due. Invece io sono in ballo dal 2007. Di fronte all’impegno che un cittadino deve sostenere, negli anni, è il caso di rispondere così? Insomma, un po’ di buone maniere…