Facebook per postare, Facebook per taggare, Facebook per amministrare. Facebook per scrivere, per iscriversi, curiosare e condividere, per “linkare” e “I-likare”. Organizzarsi. Conoscersi. Divertirsi. Agire e reagire. Più o meno scopertamente. Scrupolosamente. Nel privato, nel pubblico. E in massa. Sui monitor di un popolo, il nostro, che, secondo le statistiche rilevate dal Social Media Report 2011 di Nielsen, si è coagulato, in Rete, lo scorso anno, per l’86% dei connazionali, fra blog e Social Network (dati aggiornati al mese di giugno 2011) – con 21 milioni di utenti solo su Facebook, dove gli internauti italiani trascorrono un quarto del tempo di navigazione – superando persino la percentuale americana (79%).
Sempre più donne (46,7%) e sempre più attive, fra gli utenti nostrani del sito di Zuckerberg (prossimo, per altro, alla quotazione in borsa), così come fra i blog e sul resto delle piattaforme sociali, pur col persistere di una preponderanza maschile (53,3%) e un sorprendente quantitativo di over 30 nella fascia dei “social media addicted”, il cui indice anagrafico si aggira, nel 24,2% dei casi, fra i 35 e i 44 anni, seguito a ruota da quello degli utenti di età compresa fra i 25 e i 34 (19,4%) e dai 45-54enni (19%).
E mentre la pratica del “social networking” s’impenna anche sui dispositivi di telefonia mobile (è infatti, quella di Facebook e similari, la terza categoria di App più scaricate per smartphone, nell’anno appena conclusosi), aumenta l’abitudine allo sharing video, tra clip e video virali agilmente travasati sulle piattaforme social dal mare magnum di Youtube, e dell’acquisto di prodotti on line da parte del 70% dei “faccialibrai” connessi.
Ulteriori statistiche sono quelle rielaborate nell’infografica del sito The ithech blog: appena un anno fa, nel mese di gennaio 2011, gli utenti registrati su Facebook toccavano i 600 milioni di persone (55 milioni in più della popolazione mondiale nel 1600 DC, ferma a 545 milioni; 256 milioni in più della popolazione del Nord America, complessiva di 344 milioni di persone; e 125 milioni più di tutti gli utenti on line in Europa, “appena” 475 milioni); saliti esponenzialmente, al mese di settembre 2011 – attesta il sito web di attualità statunitense Mashable – sino al superamento della soglia di 800 milioni.
Accanto alle statistiche, inoltre, lo staff di The ithech blog ha congetturato un quadro delle nostre vite “fuori piazza”, anti-social, scevre di Facebook. Inanellando ipotesi di quotidiana “condivisione”, in situazioni indicativamente ricorrenti: come avverrebbe, ad esempio, si chiedono i redattori di TIB, il recapito di un’immagine a un amico, senza l’uso di Facebook? Con l’allegato mail, si rispondono, o tramite un servizio di IM (Instant Messaging), per l’inoltro in live streaming, o con una semplice consegna a mano, dove e quando possibile. Mentre con Facebook è sufficiente un click, una parola: bacheca.
Ancora: come sarebbe organizzare un meeting, senza il “libro di facce” sottocchio? Si dovrebbero stampare gli inviti e spedirli per posta, contattare uno ad uno i partecipanti, assicurarsi che gli impegni del gruppo combacino in maniera ottimale; mentre su Facebook, anche per questo, c’è una chiave, una funzione apposita, efficiente: il “crea evento”.
Ovvietà a parte, un’altra domanda, spontaneamente, spunta: che effetto ci farebbe, oggi, il quotidiano, senza Facebook? Con quali risultati?, e che conseguenze?, quali esperienze ci garantirebbe o rallenterebbe, per contro, il suo spegnimento?
Giunti a queste cifre, insomma, e consolidati questi ritmi, digeriti questi dati e fatte nostre queste abitudini (praticissime, talvolta; perfettamente futili, talaltra), saremmo ancora capaci, desiderosi, di “riverginizzarci” come social user, convintamente?
Ci hanno provato, lo scorso mese di dicembre, e per un breve periodo (sette giorni), gli studenti di una classe superiore del liceo Righi di Bologna: una settimana senza Facebook, su iniziativa di una professoressa di Lettere, che ha promulgato un’astinenza riparatrice, temporanea, dalle tecnologie insinuanti dipendenza: web, tv, dispositivi elettronici in genere. Con risultati inattesi, e in certo modo entusiastici, dal senso di levità unanimemente riscontrato fra i ragazzi, subito convintisi a ripetere il “social black out” dopo le feste natalizie, almeno un giorno alla settimana, a rotazione. Via i cellulari, poi le consolle, la televisione. Via Facebook: la connessione.
«Almeno ci siamo confrontati tra persone reali», ha dichiarato uno studente della classe IIA del Righi, intervistato da Repubblica. Intercettando, con immediatezza, i pensieri e le reazioni dei suoi compagni: chi ha riscoperto il gusto per la lettura, quella cartacea; chi ha velocizzato i tempi di svolgimento dei compiti a casa; chi ha ritrovato il gusto sommesso per l’ascolto della radio, e chi, nondimeno, parrà retorico, ha ridato valore al silenzio, disfandosi, di più, del brusio del sottofondo televisivo.
«Far scoprire altri registri di comunicazione e forme di libertà, basate sulla fiducia, tra genitori e figli – ha chiosato il preside dell’istituto bolognese, Domenico Altamura – e recuperare quell´affettività che nelle centinaia di comunicazioni via Facebook è perduta». Questo il senso dell’operazione.
E mentre Barack Obama, lo stesso che sui social network, nel periodo di campagna elettorale, ha intessuto le trame della poltrona di Presidente, ha stabilito, assieme alla moglie Michelle, di vietare l’uso di Facebook alle proprie figlie, Sasha e Malia, rispettivamente di 10 e 13 anni, viene da chiedersi se non sia giunto il tempo, il giusto punto, anche per chi gli esami li ha finiti da un po’, quegli over trenta tanto fanaticamente affacciati a Facebook – stando ai dati – di staccare più spesso la mano dal mouse, la spina dal monitor, il post dalla bacheca. Coi libri aperti, quelli veri, e le facce, le nostre, di carne, altrove. Tasto off.