Dalla bozza del decreto liberalizzazioni, circolano le prime indiscrezioni anche sulla benzina, prevedendo uno “stop ai contratti di esclusiva tra gestori e compagnie, con la possibilità di rifornirsi da qualsiasi produttore”, e vendita o riscatto di un terzo degli impianti di carburanti. “A decorrere dal mese successivo all’entrata in vigore della presente legge – si legge nel documento che ha visionato l’Ansa -, eventuali clausole contrattuali che prevedono forme di esclusiva nell’approvvigionamento sono nulle per violazione di norma imperativa di legge, per la parte eccedente il 50% della fornitura complessivamente pattuita e comunque per la parte eccedente il 50% di quanto erogato nel precedente anno dal singolo punto vendita”. I distributori potranno vendere prodotti “non-oil” come alimentari, bevande e tabacchi. Infine per “favorire le dinamiche concorrenziali e l’efficienza della rete”, la proprietà degli impianti di distribuzione “può essere riscattata” nei confronti degli attuali proprietari che operino nella produzione, nella raffinazione o nella commercializzazione, fino al limite complessivo di un terzo della rispettiva dotazione, dai gestori (soli o in cooperativa) o da ogni altro soggetto imprenditoriale che non operi già nel settore. Allo stesso tempo è consentita l’aggregazione tra gestori e imprenditori “al fine di sviluppare la capacità di acquisto all’ingrosso di carburanti, di servizi di stoccaggio e di trasporto dei medesimi”.

Proprio nel settore benzina e autostrade, i consumatori hanno già potuto sperimentare i primi rincari dell’anno: benzina a 1,755 euro al litro (punte a 1,822) e diesel a 1,714 euro al litro (1,736). E’ quanto emerge dal monitoraggio di quotidianoenergia.it in un campione di stazioni di servizio rappresentativo della situazione nazionale per Check-Up Prezzi QE. Sul territorio i prezzi praticati registrano aumenti significativi per tutti i brand (sebbene non riflettano appieno le dinamiche dei prezzi raccomandati) con nuovi picchi record di 1,822 euro/litro per la benzina e di 1,736 euro/litro per il diesel. Anche le no logo si muovono all’insù, ma in maniera più cauta. Il gap con le petrolifere resta superiore agli 8 centesimi. Un anno fa, per capirci, la verde costava quasi trenta centesimi al litro in meno: questo significa, a stare a un calcolo del Codacons, che un pieno di gasolio per un’auto di media cilindrata in dodici mesi è aumentato di 17,3 euro, di 13 euro se si va a benzina. Vale a dire, con un paio di pieni al mese per un anno, un salasso che supera i 300 euro.

Sulla situazione italiana pesano almeno due tipi di fattori. Il primo è strutturale e chiama in causa l’efficienza stessa della distribuzione. Un anno fa, erano operative in Italia circa 24mila stazioni di servizio, il doppio rispetto alla Germania. Come dire che le singole pompe erogano in media una quantità inferiore di benzina, gasolio e Gpl con riduzione dei rendimenti di scala e conseguente aumento dei costi. Il secondo è invece contingente e fa riferimento alla componente fiscale. Le tasse (accise + iva) pesano in Italia per oltre la metà del prezzo finale. Il costo del carburante al netto delle imposte risulta infatti superiore in altri Paesi caratterizzati però da un regime più favorevole. Un esempio su tutti: al 19 dicembre scorso un litro di verde al netto delle tasse costava 72,6 centesimi a Malta contro i 67,9 pagati in Italia. Ma il prezzo pagato presso un distributore maltese non superava in media gli 1,41 euro contro gli 1,673 dell’Italia. Il paragone può sembrare scontato ma resta utile per capire il peso di una tassazione che continua ad incidere sul costo dei carburanti e quindi, al tempo stesso, sul prezzo di tutti quei beni che vengono trasportati su strada per essere distribuiti.

In serata la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha precisato che i testi pubblicati come “presunta bozza del provvedimento sulla concorrenza”, non hanno alcun fondamento e non corrispondono al documento di lavorazione presso gli uffici.

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