Continua la battaglia legale fra British Petroleum e l’americana Halliburton. I due colossi petroliferi, ritenuti i principali responsabili del terribile incidente del 2010 presso la piattaforma Deepwater Horizon, da mesi cercano di addossarsi l’un l’altro le responsabilità dell’esplosione che portò anche alla morte di 11 operai. In particolare Bp, provata dalle spese dovute alla pulizia dei mari del Golfo del Messico, sta facendo il possibile per rientrare di una parte dei costi. Come? Con indennizzi dalle altre imprese coinvolte nella vicenda, e soprattutto richiedendo presso la Corte federale di New Orleans un risarcimento da 20 miliardi di dollari proprio ad Halliburton. Che, secondo la compagnia britannica, avrebbe addirittura distrutto prove sulla vera causa della tragedia: la scarsa qualità del cemento fornito per costruire il pozzo Macondo.
Dopo le pesanti perdite economiche e finanziarie legate al disastro ambientale più grave della storia statunitense, Bp è sempre meno disposta a prendersi tutte le colpe e gli oneri dell’accaduto. E oltre a un minimo di immagine vuole ora recuperare, come scritto in un documento firmato dal suo legale, Don Haycraft, “i costi e le spese che le sono stati imputati per la pulizia della marea nera”. Spese che ammontano finora a 14 miliardi di dollari, necessari appunto per ripulire (parzialmente) l’area e rimborsare alcune vittime della catastrofe, ma che si stima possano raggiungere i 42 miliardi.
Gli sforzi fatti in questo senso hanno già portato Bp ad ottenere dei risarcimenti. L’ultimo in ordine di tempo è quello ricevuto il mese scorso dalla Cameron International, ditta americana produttrice del Blowout Preventer (Bop), dispositivo – rivelatosi difettoso già prima dell’incidente, secondo le testimonianze di alcuni operai – con il compito di mettere in sicurezza i pozzi durante la perforazione quando i fluidi del sottosuolo escono accidentalmente all’esterno. Un accordo che ha permesso alle due compagnie di dare fine ai loro contenziosi, e a Bp di intascare in un colpo solo 250 milioni di dollari.
Ma la svizzera Transocean, proprietaria della piattaforma, e soprattutto la texana Halliburton sono ossi ben più duri delle altre società coinvolte nelle querelle legali in corso, e sin dall’inizio stanno cercando di tutelarsi e di rivalersi a loro volta sulle inadempienze di Bp. I legali della multinazionale di Houston hanno infatti risposto alla richiesta di indennizzo attraverso un rapporto di 854 pagine, in cui non solo si ricorda come per contratto la corporation loro cliente sia esente da ogni responsabilità, ma in cui si accusano proprio i dipendenti Bp, non propriamente addestrati dalla loro compagnia, di aver causato l’esplosione sulla piattaforma.
Una tesi che potrebbe essere confermata dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, che proprio in questi giorni sta valutando la possibilità di incriminare alcuni ingegneri Bp, presumibilmente rei di avere fornito informazioni errate agli operatori incaricati di perforare il pozzo Macondo. Non solo, anche il governo di Washington, nonostante i tentativi fatti a suo tempo per ridurre la portata dell’allarme, potrebbe sporgere querela contro la ditta petrolifera britannica già entro questi primi mesi dell’anno.
Possibilità tutt’altro che remota, dopo che a dicembre Bp è stata accusata di ben cinque nuove violazioni della sicurezza e delle leggi ambientali dal Bureau of Safety and Environmental Enforcement (Bsee), l’ente facente parte del Ministero degli Interni americano che sta conducendo l’investigazione sul disastro del 20 aprile 2010. Secondo il Bsee, infatti, presso la Deepwater Horizon non sono state rispettate diverse regole relative ai cosiddetti pressure integrity test condotti nel pozzo.
Del resto già lo scorso settembre, dopo 17 mesi di indagini, l’agenzia governativa non aveva più dubbi, e accusò Bp di impreparazione, negligenza ed avidità, ritenendo valida l’ipotesi per cui la multinazionale, per tagliare costi e tempi, prese consapevolmente i rischi che portarono al più grave disastro petrolifero della storia. Tutte illazioni con cui ovviamente Bp non è d’accordo. E che di sicuro non ridurranno l’intensità di una guerra fra squali che, nelle acque del Golfo del Messico, è ben lungi dal terminare.