E’ una vittoria importante, ma non il trionfo pieno, sonoro, che chiude la partita. Romney conquista il New Hampshire con il 39,3 per cento dei voti. Dietro di lui, Ron Paul, con un 22,9 per cento che dimostra la vitalità del candidato libertarian. Quindi Jon Huntsman, che con il 16,9 per cento dei consensi ottiene il terzo posto e la possibilità di portare la campagna fuori del Granite State. Rick Santorum, con il 9,3 per cento, conferma le sue difficoltà negli Stati dove è assente una forte base cristiana e conservatrice. Newt Gingrich prende all’incirca gli stessi voti di Santorum e pensa a un futuro migliore in South Carolina.
La vittoria di Romney era largamente attesa. Il New Hampshire confina con il Massachusetts, lo Stato dove è stato governatore dal 2003 al 2007. Qui, in New Hampshire, Romney ha una casa di vacanza, e qui è stato ospite di frequente, negli ultimi mesi. Il suo messaggio, focalizzato sull’economia, ha poi avuto particolare fortuna in uno Stato in cui sei elettori repubblicani su dieci si dicono particolarmente preoccupati per la crisi. Uno su due, tra questi ‘elettori economici’, ha scelto Romney.
L’ex-governatore del Massachusetts è il primo candidato repubblicano – che non sia presidente in carica – a conquistare Iowa e New Hampshire insieme. Il tentativo di interpretare la doppietta come il segno dell’inevitabile successo finale è stato evidente nel discorso “della vittoria”, all’università di Manchester. Qui Romney ha focalizzato tutto il suo ragionamento su Barack Obama. “Il presidente ha esaurito le idee – ha detto -. Ora sta esaurendo le scuse. E stasera, noi chiediamo alla brava gente del South Carolina di unirsi ai cittadini del New Hampshire e di trasformare il 2012 nell’anno in cui esaurisce il tempo a sua disposizione”. Romney ha citato per ben cinque volte, per nome, il presidente. Nessuna allusione è stata fatta agli altri sfidanti repubblicani: altro segnale che svela il tentativo di porsi al di sopra degli altri, nel ruolo del ‘predestinato’ alla nomination.
Eppure, nonostante il primo posto in New Hampshire, Romney ha più di un motivo per non sentirsi definitivamente al sicuro. La vittoria è buona, ma non così buona. Ron Paul ha ottenuto nel Granite State un risultato confortante, che lo proietta in avanti e che soprattutto gli dà modo di moltiplicare su base nazionale il suo discorso libertarian, per la riduzione dello Stato centrale, per il ritiro delle truppe, per una riduzione radicale del debito. “Siamo un pericolo alla status quo”, ha urlato Paul ai suoi sostenitori, dopo l’annuncio del secondo posto. Soprattutto, Paul è una minaccia per Romney: perché è in grado di raccogliere un’opposizione ormai capillare e organizzata; perché gli sottrae il voto giovanile (il 46 per cento degli elettori tra i 17 e i 29 anni hanno votato per Paul in New Hampshire); perché promette di conquistare un numero di delegati sufficienti per condizionare la piattaforma del partito alla convention di Tampa.
“Un biglietto per il South Carolina” è stato invece il commento di Jon Huntsman all’arrivo dei risultati in New Hampshire. Il terzo posto permette all’ex-ambasciatore in Cina di porsi come “candidato nazionale”, e non più soltanto come l’outsider che tenta la fortuna in un piccolo Stato del Nord-est. Per lui, in New Hampshire, ha votato il 41 per cento degli elettori indipendenti. Il suo profilo centrista, moderato, pesca proprio nell’elettorato senza una particolare affiliazione politica, e rischia di sottrarre a Romney una base di voti consistente.
Oltre alla sfida diretta con gli altri candidati, Romney sa comunque molto bene che la prossima tappa delle primarie, il 21 gennaio in South Carolina, è per lui un viaggio in territorio nemico. Il South Carolina è il primo Stato del Sud a organizzare le primarie. L’elettorato repubblicano ha qui orientamenti molto più conservatori rispetto al New Hampshire. Non a caso Rick Perry, il governatore del Texas, ha completamente trascurato il Nord-est ed è sceso al Sud a organizzare la battaglia. Non a caso in South Carolina Rick Santorum, il candidato di evangelici e cristiani rinati, si mantiene ben posizionato.
Arrivando oggi in South Carolina, Romney troverà ad attenderlo anche 3 milioni e mezzo di dollari in spot televisivi comprati da un gruppo pro-Gingrich, “Winning Our Future“, che relazionano sugli anni trascorsi da Romney a capo della finanziaria Bain Capital. Società smembrate e rivendute, lavoratori lasciati brutalmente a casa, un’attitudine rapace e insensibile: è il Romney che gli spot mostreranno, e che rischia di non piacere a molti americani, già turbati da un’altra frase del candidato, durante il week-end: “Mi piace licenziare la gente che lavora per me”. Romney ha cercato in queste ore disperatamente di far deflettere gli avversari dai futuri attacchi. “Sono un male per il partito repubblicano e per il Paese”, ha detto. Senza molto successo. Gli spot andranno in onda. E i suoi avversari faranno di tutto per bloccare una candidatura che, in South Carolina, prenderà la rincorsa finale o subirà un pericoloso arresto.