I giudici costituzionali già riuniti: tra oggi e domani il verdetto. Di Pietro mette sotto accusa l'annunciato tavolo con Pdl e Udc per cambiare la legge elettorale per via parlamentare: "Un bastone fra le ruote del referendum"
“Fissiamo un calendario” ha detto Pier Luigi Bersani, che come i suoi colleghi dell’attuale (e larga) maggioranza ha assicurato che rispetterà il verdetto della Corte, qualunque esso sia. Simile il discorso del Pdl, con Angelino Alfano che ieri, dopo la riunione del partito, ha annunciato una proposta di riforma ‘azzurra’ condita da tutta una seria i paletti: sì alle preferenze in un sistema “bipolare che consenta ai cittadini di scegliere il presidente del Consiglio, la maggioranza e il programma elettorale”. Il rischio ora è che in caso di non ammissibilità dei quesiti referendari il Porcellum finisca per restare lì dov’è. Con buon pace del milione e 200mila firma raccolte tra i cittadini. Dal timore di un quadro simile derivano le prime polemiche. Preventive. “La Corte è oggetto di forti, forse fortissime pressioni politiche” è stato l’allarme del ‘referendario’ Mario Segni, mentre Antonio Di Pietro ha rafforzato la sua presa di posizione: “Non permettere ai cittadini di avere il referendum rappresenterebbe un attentato alla democrazia. Sullo sfondo, inoltre, l’iniziativa di alcune associazioni, che hanno organizzato una fiaccolata davanti alla sede della Consulta in favore del ‘sì’.
E mentre la politica dialoga, litiga e lancia strali, la Corte Costituzionale è passata ai fatti. Con un calendario ben preciso. In apertura sono stati ascoltati gli avvocati dei comitati promotori. Oggi i 15 giudici si sono riuniti per elaborare una sentenza che a questo punto arriverà domani. Sono tre le ipotesi sul tavolo, sulle quali i giuristi italiani si dividono. La prima è che si dichiari ammissibile almeno uno dei quesiti, dando il via a una consultazione che potrebbe portare alla cancellazione del Porcellum e al ritorno del vecchio sistema di voto, il Mattarellum. La seconda è che la richiesta referendaria venga rigettata perché, come sostengono alcuni costituzionalisti, determinerebbe un inammissibile vuoto normativo. La terza è che la Consulta dica no al referendum, ma insieme sollevi la questione della incostituzionalità della legge Calderoli. Se così fosse, il Parlamento sarebbe praticamente costretto ad intervenire.
GUARDA IL VIDEO DI NELLO TROCCHIA