La Germania ha rotto gli indugi. Nella consueta conferenza stampa di governo, il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha invitato i cittadini tedeschi che si trovano in Siria a «considerare seriamente l’appello del governo federale» e a lasciare il paese. Le condizioni di sicurezza nel paese arabo, da marzo 2011 scosso dalle proteste contro il regime del presidente Bashar Assad e dalla conseguente repressione costata la vita ad almeno 5 mila persone secondo l’Onu, si sono ulteriormente deteriorate.
Il segnale è stata la morte del giornalista francese Gilles Jacquier, avvenuta l’11 gennaio a Homs, per l’esplosione di un ordigno durante un corteo di sostenitori del presidente Assad. La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta per omicidio e oggi dovrebbe essere effettuata l’autopsia sul corpo del reporter, veterano di molti conflitti e situazioni di crisi. Alla France Presse il direttore di France Television, per cui lavorava Jacquier, ha spiegato che «ci sono molti elementi inquietanti» nella dinamica dei fatti per come è stata raccontata dal governo siriano. «Il convoglio su cui viaggiavano i giornalisti era scortato dai militari – ha detto il direttore – Come mai sono spariti al momento dei primi colpi?».
A Homs, intanto, secondo l’agenzia di stampa Dpa che cita fonti dei dissidenti siriani in Libano, anche oggi sono state uccise tre persone, in scontri tra le forze governative e quelle degli oppositori. Altre due vittime ci sarebbero state ad Hama, un’altra delle città epicentro delle proteste antigovernative, e due a Damasco. La tensione non si limita alle città siriane. A Oncupinar, sulla frontiera tra Turchia e Siria, le guardie di confine di Damasco hanno fermato un convoglio di circa 150 persone che volevano portare aiuti umanitari, coperte, medicine, nelle zone della rivolta. Nel convoglio c’erano siriani della diaspora, come Muhyedin Lazikani, uno scrittore, che all’emittente panaraba Al Jazeera ha dichiarato che gli attivisti sono pronti a piazzarsi con le tende sul confine siriano, fino a quando il “Convoglio della libertà” non sarà autorizzato a entrare nel Paese.
Sul fronte politico, nel frattempo, il Consiglio nazionale siriano – il principale ombrello delle organizzazioni dissidenti – e il cosiddetto Libero esercito di Siria (formato dai disertori che hanno lasciato l’esercito regolare) hanno deciso di coordinare meglio le proprie operazioni. Tanto che in molte città, secondo il servizio arabo della Bbc, sono in corso manifestazioni a sostegno del Free Syrian Army, che nei giorni scorsi ha attaccato alcuni reparti dell’esercito regolare. Una parte dei disertori, peraltro, si sarebbe rifugiata proprio in Turchia, a ridosso del confine con la Siria, nelle tendopoli da tempo allestite dalle autorità di Ankara.
Il governo guidato dal premier Recep Tayyp Erdogan – nei primi mesi di proteste schierato a sostegno di Assad – sembra in questo momento il più preoccupato per l’evoluzione della situazione in Siria. Lunedì scorso, Erdogan ha avvisato che in Siria «si sta andando verso una guerra civile e settaria, che deve essere evitata a tutti i costi». Turchia e Germania, secondo alcune fonti, stanno lavorando assieme per arrivare a una più decisa presa di posizione dell’Onu, che Berlino chiede anche per rafforzare la proposta di sanzioni europee ormai prossime, e Ankara vorrebbe per poter iniziare a pianificare la creazione di una zona cuscinetto, al confine tra i due stati, dove accogliere gli eventuali profughi.
La preoccupazione della Turchia non è isolata: da Beirut, dove si trova per una visita di stato, Nabil al-Arabi, segretario generale della Lega araba, ha usato le stesse parole: «Sì, temo una guerra civile – ha detto al-Arabi in una intervista al canale al Hayat – Gli eventi a cui stiamo assistendo possono portare a una guerra civile». La Lega araba valuterà la prossima settimana, tra il 19 e il 20, l’esito della contestata missione degli osservatori inviati per accertare i fatti. Solo allora, secondo al-Arabi, sarà presa una decisione rispetto agli impegni sottoscritti a suo tempo dal governo di Damasco, ma finora disattesi, nonostante le ultime promesse del presidente Assad. Il barometro politico sembra puntare su nuove, ulteriori tempeste.
di Joseph Zarlingo