Si è chiuso ieri il bando per la Direzione Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte contemporanea, di cui avevamo già parlato lo
scorso 30 dicembre.
Tra le varie domande pervenute, due appaiono particolarmente rilevanti. La prima è quella di
Maddalena Ragni, attuale responsabile della Direzione generale per i beni culturali e paesaggistici della Toscana. La dottoressa Ragni è stata recentemente protagonista della singolare vicenda dell’
‘archeopatacca’di
San Casciano Val di Pesa: lo spostamento (e dunque la falsificazione, e in ultima analisi la distruzione) di un’area archeologica che ‘intralciava’ la realizzazione di un capannone industriale della Laika. Come ha osservato
Salvatore Settis, si è trattato di un’
operazione illegale: «quando avviene un rinvenimento archeologico casuale come questo, le alternative previste dalla legge sono solo due: o i reperti sono poco importanti, ne viene fatto un rilievo e si possono distruggere (succede ogni giorno, e nessuno protesta); oppure i reperti sono importanti, e vanno conservati in situ. La terza alternativa (come nel caso di San Casciano), “tanto importanti da non potere essere distrutti” e simultaneamente “tanto poco importanti da non dover essere conservati in situ” semplicemente non esiste nella normativa vigente, dalla legge 364/1909 al Codice dei Beni Culturali». Ma la Ragni ha preferito costruire un falso storico: una soluzione politica apprezzatissima dal governo regionale toscano e da Confindustria.
L’idea è chiara: non disturbare il manovratore, e piegare le esigenze della tutela a quelle della politica. La Ragni avrebbe potuto – per esempio – intervenire anche nella desolante vicenda di Palazzo Vecchio, impedendo a Matteo Renzi di bucare gli affreschi di Vasari per cercare un Leonardo inesistente. Ma, pur avendo le competenze necessarie, ella ha preferito tacere, lasciando la palla all’ancor più accondiscente soprintendente di Firenze, Cristina Acidini.
L’altro candidato in vista è
Gino Famiglietti, direttore generale del Molise, già vice capo dell’Ufficio legislativo del Mibac. In quella veste,
Famiglietti è stato colui che ha materialmente scritto l’ottimo Codice dei Beni culturali: che conosce, dunque, come nessun’altro in Italia. Nonostante questa ineguagliabile competenza, Famiglietti fu rimosso da quell’incarico e spedito a Campobasso quando si oppose allo svincolamento della preziosa commode voluto dall’allora direttore generale
Roberto Cecchi (vedi il post del 30 dicembre). E già in precedenza, da Direttore regionale della Lombardia, era stato fatto rientrare a Roma in quanto aveva sottoposto a tutela il Palazzo di Giustizia di Milano, oggetto di uno sconsiderato progetto di trasformazione, e monumenti fra i più rilevanti dell’architettura razionalista nonché luogo simbolo di ‘Mani pulite’. In Molise, Famiglietti non si è dato per vinto, e ha ingaggiato una durissima battaglia contro gli
insediamenti selvaggi di pale eoliche che minacciavano di distruggere il paesaggio preziosissimo della citta romana di Sepino.
Non per caso, alla fine dello scorso novembre Italia Nostra ha assegnato proprio a Famiglietti il premio «Umberto Zanotti Bianco»: sorta di Nobel italiano della tutela.
Ebbene, Maddalena Ragni è la candidata del sottosegretario Roberto Cecchi (in questi giorni di nuovo nei guai perché l’Antitrust ha bocciato la sua svendita del Colosseo alla Tod’s di Diego della Valle), Gino Famiglietti il candidato di tutti coloro che hanno a cuore la missione costituzionale di tutela dell’inestimabile bene comune del paesaggio e del patrimonio storico-artistico italiano.
Da che parte si schiererà il ministro Lorenzo Ornaghi?