La bocciatura della Francia da parte di Standard & Poor’s è arrivata ad appena un centinaio di giorni dal primo turno delle presidenziali francesi. Una batosta per Nicolas Sarkozy, già in difficoltà nei sondaggi? La mazzata finale, dopo scandali e crisi dell’economia, quella reale? Non è detto. Dopo aver sperato nel miracolo (che S&P rinunciasse a infierire su Parigi) fino a pochi giorni prima del verdetto, il Presidente e il suo entourage sono partiti all’attacco: stizziti nei confronti dell’onnipotenza dell’agenzia di rating, lontani dai toni concilianti di un Mario Monti o di altre capitali europee. La strategia potrebbe pagare, innescandosi nel filone del patriottismo (antiamericano e non solo) dei francesi. E di un rigetto dello strapotere della finanza, crescente a Parigi.

L’aggressività del Governo. “Non saranno certo i mercati e le agenzie di rating a dettare la politica alla Francia”, ha sottolineato il ministro delle Finanze, François Baroin. Quanto all’inossidabile Alain Minc, consigliere ascoltatissimo da Sarkozy, ha detto: “Fare una cosa del genere la settimana in cui i mercati si normalizzano, significa che non abbiamo più a che fare con dei pompieri piromani, ma con persone dai gravi comportamenti perversi”. Ha parlato pure il premier François Fillon, noto per la sua cautela, sottolineando che la decisione dell’agenzia americana “è intervenuta in controtendenza rispetto agli sforzi intrapresi in tutta l’Eurozona”. Sarkozy, invece, ha promesso di intervenire a fine mese “per spiegare ai francesi quali sono le decisioni importanti da prendere senza perdere tempo”. Probabilmente non mancheranno frecciatine a S&P e alle altre agenzie. La nuova linea dell’Eliseo è: critica a oltranza.

Consenso anti Standard da destra a sinistra. Ma le critiche all’agenzia provengono anche da diverse forze politiche dell’opposizione. Jean-Luc Mélenchon, ex socialista e ora alla guida del Front de Gauche, formazione che raccoglie notevoli consensi nell’estrema sinista, ha invitato “a resistere alla guerra della finanza contro la Francia”. Dall’altra parte dello schieramento politico, ecco spuntare nel dibattito la paladina dell’estrema destra, Marine Le Pen, candidata all’Eliseo, ormai con più del 20% dei consensi nei sondaggi. Per lei la perdita della tripla A “è colpa del modello al quale aderiscono tutte le forze politiche”. La Francia, ha detto, “deve uscire dalla zona euro”.

Solo i socialisti cavalcano il declassamento. L’unico a utilizzare esplicitamente la bocciatura di Standard contro Sarkozy è François Hollande, il candidato socialista alle presidenziali, dato per il momento come favorito, anche se in perdita di consensi. «Questa sanzione – ha dichiarato a Le Monde – segna il fallimento del quinquennato del Presidente”. Appare, però, difficile per i socialisti, ostili a una politica di eccessivo rigore per le finanze pubbliche, dare al tempo stesso il loro appoggio alle critiche di S&P al Governo. Tanto più che i socialisti si sono opposti all’adozione della “regola d’oro” sul pareggio di bilancio. “Hollande potrebbe sottoporre le sue idee a Standard & Poor’s – ha sottolineato il premier Fillon -. Sono curioso di sapere cosa l’agenzia pensi di un programma che prevede solo l’aumento della spesa pubblica e delle tasse”.

Le agenzie di rating ostaggio della politica? In queste ore si intensificano le critiche dell’Eliseo sul fatto che Standard avrebbe utilizzato un metro politico per il suo giudizio, procedendo alla bocciatura in piena campagna per le presidenziali. Va ricordato che nei giorni scorsi Fitch, un’altra delle “big three”, le tre principali agenzie di rating del mondo, aveva invece assicurato che non avrebbe proceduto a un declassamento di Parigi per tutto il 2012. Ebbene, Fitch, agenzia anglo-americana, è pero’ proprietà dell’imprenditore francese Marc Ladreit de Lacharrière, ben inserito in quel di Parigi. Anche nel mondo della politica.

Le cifre parlano da sole. Al di là di tutto, la perdita della tripla A da parte della Francia era già avvenuta nei fatti. Inevitabile il confronto con la Germania: Parigi dovrebbe avere archiviato il 2011 (non ci sono ancora i dati definitivi) con un deficit pubblico al 5,5% del Pil, il Prodotto interno lordo, contro l’1% di Berlino. Intanto un deficit di 75 miliardi di euro della bilancia commerciale per la Francia stride con i 160 miliardi di avanzo della Germania. Pure i mercati sembrano già aver fatto la loro scelta. I tassi sui titoli di Stato francesi a dieci anni sono al 3,1% contro l’1,75% dei Bund. Il rapporto debito pubblico-Pil resta ancora soddisfacente per la Francia rispetto a Paesi come l’Italia, all’86% a fine giugno 2011. Ma la quota sta aumentando continuamente. Si trova ormai 20 punti percentuali sopra il livello trovato da Sarkozy nel 2007. Quando arrivò al potere.

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