C’è un dato statistico, almeno uno, che dà ragione all’esercito di pompieri che da venerdì sera, con dichiarazioni e commenti vari, getta acqua sul fuoco dei timori innescati dalla nuova bocciatura dell’Italia. L’ultima volta che Standard & Poor’s (S & P) ha declassato il debito del nostro Paese la Borsa di Milano non ha fatto drammi. Anzi da quel 20 settembre in cui il rating italiano calò da A+ ad A gli indici azionari hanno inaugurato una fase di moderato rialzo che è durata quasi un mese, per poi ripiombare di nuovo nella tempesta che ha preceduto la caduta del governo Berlusconi a metà novembre. Non è detto, quindi, che la stangata di S & P inneschi per forza di cose una nuova ondata di ribassi sui mercati. L’impressione, adesso come nel settembre scorso, è che gli investitori prevedessero da tempo la bocciatura e si siano mossi di conseguenza nelle settimane scorse.

Insomma, chi doveva vendere ha già venduto. Questo è il giudizio (o forse l’auspicio) che si raccoglie tra gli analisti. Solo domani, alla riapertura dei mercati, si capirà se l’ottimismo è giustificato. Nel frattempo i timori restano. Prima di tutto perchè le cannonate di S & P sono andate a colpire anche un altro grande Paese come la Francia. Un colpo pesante che potrebbe innescare nuova instabilità in tutta l’Eurozona. Quanto all’Italia, retrocessa nella serie B del debito, al pari di Perù, Kazakhistan e Irlanda, adesso rischia di fare ancora più fatica a collocare i propri titoli pubblici. In altre parole i rendimenti potrebbero tornare a salire e di conseguenza anche la spesa per interessi a carico del Tesoro. Non è esattamente una prospettiva esaltante per uno Stato che quest’anno deve rifinanziare circa 400 miliardi di debiti di cui 150 miliardi entro aprile.

Il paradosso è che una delle motivazioni del declassamento deciso da S & P è proprio “la vulnerabilità crescente ai rischi di finanziamento esterno”. Questa stessa vulnerabilità finisce per aumentare proprio a causa della bocciatura decisa dall’agenzia di rating in un circolo vizioso che non promette niente di buono. E pensare che solo pochi giorni fa, con il netto calo dei rendimenti registrato nell’asta dei Btp e, soprattutto, dei Bot, l’Italia sembrava in marcia verso territori più sicuri. Adesso tutto torna in discussione. Va ricordato che il rating di BBB+, quello appena assegnato ai nostri titoli pubblici da S & P, finisce anche per ridurre la platea dei possibili investitori. Infatti, non mancano i grandi fondi internazionali che per regolamento interno possono mettere in portafoglio solo titoli di classe A. Molti di più, peraltro, sono gli investitori istituzionali che sono tenuti a comprare solo prodotti finanziari denominati “investment grade”, cioè quelli con rating superiore a doppia B, considerati più sicuri. Con la doppia retrocessione di venerdì sera, l’Italia si trova ancora all’interno del recinto dell'”investment grade”, ma pericolosamente vicina all’uscita.

Intanto, come è già accaduto lo scorso settembre, la bocciatura darà il via a un effetto a catena. È probabile che nei prossimi giorni venga declassato anche il rating di grandi regioni, comuni enti e società a controllo pubblico. Nel mirino anche le banche. Del resto se i titoli di Stato italiani tornano a perdere terreno sui mercati, non possono che calare anche le quotazioni degli istituti di credito che hanno i bilanci imbottiti di Btp. Non per niente, già venerdì pomeriggio, quando si sono diffuse le prime indiscrezioni su un prossimo taglio del rating, le azioni bancarie sono state le prime a perdere quota interrompendo una fiammata rialzista che durava da qualche giorno. Nuvole nere in arrivo, quindi, per istituti di credito come Monte dei Paschi e Banco Popolare, già sotto pressione perchè nei prossimi mesi dovranno rafforzare il patrimonio. Le tensioni maggiori potrebbero però scaricarsi su Unicredit che venerdì prossimo chiuderà l’aumento di capitale monstre da 7,5 miliardi. Dopo un esordio disastroso lunedì scorso, la quotazione della grande banca milanese ha recuperato terreno nel corso della settimana. Adesso però è arrivato il siluro di S & P. Domani vedremo se il colosso Unicredit è in grado di tener botta.

da Il Fatto Quotidiano del 15 gennaio 2012

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