L’Europa economica, cioè quella dei paesi aderenti all’Euro, sembra essere divisa da questa crisi in due parti che potrebbero però cambiare contenuti: da un lato Germania e Francia con qualche piccolo paese nordico di corredo, dall’altra Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e qualche altro paese più piccolo; la posizione della Francia potrebbe essere fluida in funzione dello sviluppo futuro del suo spread.
Il primo gruppo, forte di economie efficienti e di situazioni finanziarie robuste, spinge perché le economie più deboli da certi punti di vista si risolvano da sole i propri problemi, probabilmente a prezzo di gravi turbe sociali e di recessione; i problemi sociali negli stati più deboli non riguarderebbero comunque i paesi più forti, le recessioni invece potrebbero espandersi in modo contagioso.
Il secondo gruppo vorrebbe invece che quanto meno il rientro dai debiti potesse essere dilazionato in tempi più lunghi e che questo fosse fatto anche attraverso un diverso ruolo della Bce che dovrebbe sostanzialmente stampare denaro per acquistare il debito degli stati deboli.
Gli interessi dell’un gruppo e dell’altro divergono, ma non molto di più di quanto divergano gli interessi tra il Centro Nord italiano e il Centro Sud; in questo secondo caso, però, esiste una nazione unica, con un’unica costituzione, con un unico governo e questo mette al riparo dalle tentazioni di abbandonare una regione a se stessa.
L’Europa, invece, ha un governo solo teorico, soggetto a far ratificare le sue scelte importanti da trattati inter-stato, ha nazioni diverse e realtà economiche separate a parte la valuta unica; questo fa una sostanziale differenza che induce problemi e opportunità; il problema principe è che manca una effettiva Banca Centrale che invece, ricordiamolo fino alla noia, hanno Gran Bretagna, Usa, Giappone etc. O meglio, la Banca c’è, ma non può fare quello che le altre banche centrali fanno; incidentalmente questo oggi va bene alla Germania, a qualche paese nordico e (fino a quando?) alla Francia.
La Germania è il paese che nella Ue ha più beneficiato dell’avvento della moneta comune e senz’altro con merito; le sue esportazioni sono cresciute enormemente, grazie alla sua efficienza produttiva (investimenti, tecnologie di prodotto e di processo, infrastrutture) e al disinnesco della unica arma (a volte a doppio taglio) che i partner europei avevano e cioè la svalutazione competitiva ; il suo debito è sotto il 100% del Pil, anche se non così basso come riportato ufficialmente, e la sua economia cresce. È ovvio che una politica che andasse a bilanciare questo con economie in recessione (Spagna, Grecia, tra poco anche Italia, forse Francia), alti debiti (Italia, Grecia e Belgio) e alti disavanzi (Francia) indebolendo il potere d’acquisto dell’Euro e spostando risorse verso i paesi in difficoltà significherebbe penalizzare i tedeschi & Co; a favore di Italiani, Spagnoli & Co.
Viceversa una politica di rigore un po’ punitivo causerebbe negli stati deboli ridimensionamenti significativi degli stati sociali (in Grecia già fatti, in Italia fatti in parte pesante) e recessione; quest’ultima forse anche contagiosa verso gli stati forti.
Gli interessi sono evidentemente contrastanti e infatti si scontrano da un pò causando un impasse a livello decisionale europeo che aggrava giorno dopo giorno una situazione già pesante; c’è da dire, comunque, che lo status quo di non cambiamento delle regole esistenti favorisce il gruppo forte almeno nel breve termine.
In presenza di un conflitto di interessi del genere è possibile continuare a remare concordi sulla stessa barca? È possibile mantenere una moneta unica che da alcuni è richiesta più solida e da altri, implicitamente, più debole?
Ai grandi economisti e a qualche commentatore con la verità rivelata la risposta giusta; comunque secondo me è no, e rimanere attaccati alla Germania se quest’ultima non modifica il suo approccio alle modalità di uscita dalla crisi potrebbe essere un abbraccio mortale.