Il manager italo-canadese vuole superare la soglia dei sei milioni annui di auto prodotte. Unione possibile con l'azienda d'oltralpe. Che però nel 2011 ha perso in Borsa il 56,4%. La fusione potrebbe unire debolezze simili
Al di là di vaghe smentite, tira e molla sulle parole e dichiarazioni che dicono e non dicono, quando Sergio Marchionne afferma che “bisognerebbe fare massa critica con altri costruttori in Europa per dividere costi e rischi”, aggiungendo che “solo Volkswagen, con una quota di mercato del 20%, riesce a farlo: bisognerebbe creare, in termini di dimensioni, un’altra Volkswagen”, sa bene cosa sta dicendo. Non esistono tante altre case automobilistiche nel Vecchio continente in grado di consentire al gruppo torinese, già in tandem con la Chrysler, di superare quella soglia di sei milioni di auto annue prodotte, ritenuta necessaria dal manager per sopravvivere nel mondo globalizzato. Ci sarebbe l’Opel, ma gli è già andata male nel 2009. E poi c’è la francese Psa Peugeot Citroen. Nient’altro.
E così, al di là dei “no, non è vero”, “non volevo dire quello”, “non so”, è molto probabile che Marchionne, quando parla di nuove possibili alleanze, pensi proprio ai francesi di Psa. Anzi, è quasi evidente. La possibilità di una fusione tra Fiat (ora Fiat-Chrysler) e Psa ricorre ciclicamente, da almeno dieci anni. Per diverse ragioni, principalmente perché si tratta di due gruppi abbastanza equivalenti come dimensioni, almeno dopo l’avventura americana del Lingotto: 4,4 milioni di vetture vendute nel 2011 per Fiat-Chrysler, secondo le stime, e 3,7 per Peugeot e Citroen. Insomma, l’ideale per superare quella maledetta soglia dei sei milioni ripetuta all’infinito dal nostro (ma allora, perché Bmw, Honda e Hyundai sopravvivono da sole?).
Non è casuale che questa vecchia storia ritorni a galla ora. Anche questo Marchionne lo sa benissimo. Nel passato l’alleanza era stata sempre prospettata in posizione d’inferiorità per il Lingotto. Ora, invece, le cose potrebbero andare diversamente. L’anno scorso l’azione Psa ha perso alla Borsa di Parigi il 56,4%. Tanto per avere un’idea della debacle, nello stesso periodo la Renault (considerata fino a qualche mese fa più malmessa della sua connazionale, concorrente di sempre) ha ceduto il 38,3% mentre il comparto automobilistico europeo nel suo complesso si è ridotto del 23 per cento. Adesso, se Fiat-Chrysler e Psa “pesano” praticamente lo stesso in quanto a fatturato, per la capitalizzazione valgono rispettivamente 4,9 e 3 miliardi di euro. Marchionne sa che puo’ comprare a prezzo scontato. E assumere un ruolo determinante nella nuova, possibile compagine.
L’altro problema, quando giravano voci di fusioni con Psa al centro, era sempre rappresentato dalla resistenza ad aprire il capitale da parte della famiglia Peugeot, che ancora oggi ne detiene il 30% e il 46% dei diritti di voto: neanche se in ballo ci fossero stati gli Agnelli, con i quali la dinastia industriale francese ha sempre avuto relazioni più che cordiali. Ora, però, la situazione di Psa è talmente difficile che pure i Peugeot potrebbero cedere. I conti del gruppo si sono deteriorati rapidamente negli ultimi mesi, al di là delle aspettative più nere. Nel primo semestre del 2011 le vendite avevano tenuto e l’utile netto aveva totalizzato 405 milioni di euro. Poi sono arrivati la crisi dell’euro e i suoi riflessi sull’economia reale. Philippe Varin, presidente di Psa, mette già in conto “perdite significative” per gli ultimi sei mesi del 2011. Intanto le vendite si sono già ridotte dell’8% nei primi undici mesi dello scorso anno a livello europeo.
Il problema di base di Psa è che il gruppo è troppo esposto nei confronti dell’Europa per le vendite (il 59% del totale mondiale) e troppo poco presente nei mercati emergenti, che stanno ora trainando il settore dell’auto. Anche per la produzione Psa è ancora troppo dipendente dall’Europa e soprattutto dalla Francia, con il suo alto costo del lavoro. Il gruppo sta scontando i ritardi della sua strategia di globalizzazione. Gli analisti del comparto automobilistico lo dicono in coro: salire sul tandem Fiat-Chrysler, da questo punto di vista, potrebbe essere una soluzione. Psa è in forte ritardo in Brasile: lì Fiat potrebbe sostenerla. E’ praticamente assente negli Usa, un mercato che sta dando segnali di ripresa: là potrebbe contare sull’appoggio di Chrysler. In Cina, invece, Psa sta già investendo molto, un vantaggio per Fiat, che nel Paese asiatico è praticamente assente.
Quanto all’Europa sia Psa che Fiat hanno ormai capacità produttive sovradimensionate. Con un’abile politica di economie di scala potrebbero ridurle e rispamiare un bel po’ di soldi. Questo, però, è più facile a dirsi che a farsi. Almeno in Paesi come l’Italia e la Francia. Oltralpe è ancora più difficile ridimensionare fabbriche e tagliare posti di lavoro che a casa nostra. Solo dopo mesi e mesi di trattative con i sindacati e il Governo francese, in novembre Varin ha potuto annunciare la riduzione di 6mila posti di lavoro in Europa, 4.300 dei quali in Francia. E’ intervenuto lo stesso Nicolas Sarkozy che ai Peugeot ha ricordato il prestito pubblico di tre miliardi di euro assicurato al gruppo nel 2009 in cambio dell’impegno a non delocalizzare: cosi’ ha impedito ristrutturazioni ancora maggiori. A Parigi, se si finanzia un’impresa, poi si batte cassa. E si impongono condizioni. Non è certo in Francia che Marchionne andrà a tagliare posti di lavoro con piglio nordamericano. Se la fusione si realizzasse, dunque, Psa e Fiat-Chrysler rischierebbero di sommare le stesse debolezze.