di Flavia Fiocchi
Luca Pozzi (Milano, 1983) con il suo lavoro è riuscito là dove ore di lezione hanno fallito: partendo dalla famosa citazione di Henry Miller che professava l’inutilità dell’arte se non a spiegare il senso della vita, Luca analizza alcune leggi fisiche, l’analisi matematica e le teorie quantistiche e ne fa oggetto dei suoi lavori.
All’inizio si rimane disorientati, ma soffermandosi a pensare ci si rende conto che le opere di Pozzi forniscono una via: l’arte contemporanea e la fisica presentano molti caratteri in comune, primo fra tutti proprio l’apparente distacco dalla realtà e, in seconda analisi, la necessità di generare un linguaggio proprio. Pozzi crea dei mondi affascinanti, dall’impatto visivo semplice dietro il quale sottende i suoi studi.
Proprio lo studio è al momento l’impegno principale di Luca: dopo tre intensi anni che l’hanno visto protagonista di mostre personali tra Milano, Bologna, Firenze e Madrid, e vari progetti internazionali, oggi Pozzi è a New York, “ sto portando avanti il progetto della Quantum Gravity Cave, una specie di archivio pensato come una grotta preistorica che tenta di riunire i più diversi formalismi matematici sviluppati negli ultimi decenni da “conflittuali” comunità scientifiche, semplicemente mappando, con un led ultravioletto e un tablet al fosforo, le mani dei ricercatori. A tal scopo sono stato all’Albert Einstein Institute di Berlino, alla Facultè de Science di Marsiglia, al Consejo Superior de Investigaciones Cientificas di Madrid, e ora sto lavorando alla Columbia University di New York con il team di Brian Greene, famoso al grande pubblico per aver scritto importanti libri di divulgazione sulla teoria delle stringhe”, ci racconta.
Nei prossimi mesi Luca incontrerà anche grandi personalità del mondo scientifico come Abhay Ashtekar, fisco teorico indiano e professore presso la Pennsylvania State University, che gli permetterà di osservare dettagliatamente il satellite SWIFT, un progetto di astrofisica della NASA che osserva eventi celesti, come i Gamma Ray Burst; e sarà ospite del P.I. Perimeter Institute in Canada, un centro di ricerca di fisica teorica, “forse uno dei luoghi più entusiasmanti per i fisici di tutto il mondo”, confessa Luca.
Tutto questo senza dimenticare il suo impegno artistico: “sono coinvolto in un progetto ideato da Tina Di Carlo (curatrice del dipartimento di architettura e design del Moma) chiamato ASAP (Archive of Spatial Aesthetics and Praxis) nato dall’idea di creare una vera e propria collezione d’arte contemporanea sulla base di un’aggregazione spontanea e al libero contributo di eclettiche personalità del mondo della ricerca come: Andrea Zittel, Salottobuono, An Te Liu, Nicolas Jaar, Andreas Angelidakis e Raumlabor, per citarne alcune”, mentre è prevista per marzo 2012 una sua mostra alla Kabe Gallery di Miami.
Attualmente Luca è impegnato anche in Italia grazie alla sua partecipazione al Premio Moroso, seconda edizione del premio ideato dalla nota azienda di design per la promozione dell’arte contemporanea: le opere dei dieci finalisti sono esposte fino al 12 febbraio 2012 presso la Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Monfalcone. Per il Premio, Luca ha presentato l’opera The Integral Y, un’istallazione composta da tre barre di alluminio lievissimamente curvate sul loro asse, al centro delle quali è posizionato un magnete sferico che attrae due palline da ping pong anch’esse magnetizzate, legate con un filo alle parti terminali.
Semplicità e complessità: “ho studiato le forme della collezione Moroso, gli allestimenti dei loro stand, e ho intuito quanto il concetto di griglia, di mimetismo, di emersione-apparizione fosse centrale”, spiega Luca, che in questa opera ha voluto sottolineare proprio il concetto di evoluzione continua degli elementi unendo la trasformazione implicita nell’operatore matematico integrale, riprendendo l’idea di Variety espressa nel testo di William Hogarth The Analysis of Beauty. L’idea rimane come custodita in quelle tre barre e nel magnetismo, così come avviene in tutte le sue opere dalle fotografie in cui saltava di fronte alle tele cinquecentesche di Paolo Veronese, riflettendo sulla forza di gravità proporzionale al peso della storia dell’arte, o alle spugne levitanti in un campo elettromagnetico , come quelle esposte nella cripta del Museo Marino Marini di Firenze nel 2010.
Luca è tutto questo e anche altro, visita New York, si ferma alla pasticceria La Bergamote di Chelsea e frequenta la cattedrale Saint John de Devine, palcoscenico di concerti, come quello in onore del solstizio d’inverno – un memento pagano abilmente convertito – e dove è in corso la mostra The Value of Water con lavori di William Kentrige e Bill Viola.
Legge L’arte di vivere di Seneca e La strada che porta alla realtà di Roger Penrose, un testo che sembra in qualche modo lo specchio del suo fare arte: senza dare nulla per scontato e giocando un po’ con il titolo, nella lettura e nell’approccio con un’opera d’arte si intraprende una strada che porta necessariamente ad un risultato, positivo o negativo che sia, “l’importante è procedere con i giusti strumenti verso quello che pur restando incredibilmente misterioso non sia mai irragionevole”.