Per capire il reale tenore del clima che sta investendo in questi giorni Eurolandia è sufficiente, forse, richiamare ancora una volta le parole pronunciate ieri da Mario Draghi. “Siamo in una situazione gravissima” ha dichiarato senza remore il governatore della Bce di fronte al pubblico di Strasburgo. Parole che lasciano il segno, senza dubbio, per il semplice fatto di essere state pronunciate da un personaggio solitamente pacato nei toni e nei contenuti. Insomma, se persino l’ex numero uno di Bankitalia sceglie di sbilanciarsi in tal modo rinunciando al classico ruolo del pompiere chiamato a spegnere sul nascere il panico dei mercati, significa essenzialmente una sola cosa. Ovvero che il direttore dell’istituto centrale europeo è ormai esasperato di fronte al permanente stallo che caratterizza un’Europa sull’orlo di un disperata crisi non solo dei conti ma anche, aspetto principale dell’intera vicenda, di nervi.
A turbare profondamente Draghi è in primo luogo la posizione della Germania, o, per meglio dire, la piena incapacità della Germania di cambiare posizione. Il numero uno della Bce non lo dice in modo esplicito ma il messaggio è chiaro. Prima ancora che Standard & Poor’s ne declassasse la valutazione nella serata di ieri, Draghi ha fatto un chiaro riferimento al fondo salva Stati ipotizzando “un contributo aggiuntivo da parte dei Paesi a tripla A” per favorirne la crescita e l’aumento delle potenzialità di prestito a coloro che lo necessitano. E visto che a questo punto a vantare il massimo del rating sono rimasti in quattro, tre dei quali con risorse limitate (Olanda, Lussemburgo e Finlandia), è scontato pensare che a farsi carico di uno sforzo ulteriore debba essere proprio la Germania. Chiamata, nell’occasione, a mettere da parte le proprie convinzioni politiche, i propri dogmi rigoristi e i propri tabù antinflazionistici sul ruolo discreto dell’Eurotower.
Chi non ha avuto remore nel citare direttamente le responsabilità di Berlino è stato invece Mario Monti. In un’intervista al Financial Times, il premier italiano ha evidenziato il fattore di rischio rappresentato dalla “politica europea e dalle sue istituzioni”. Un rinnovato impegno sul fronte dei prestiti da parte della Germania, ha lasciato intendere Monti, sarebbe decisivo per abbassare il costo dell’indebitamento da parte delle nazioni in crisi. Una strategia che sarebbe “nello stesso interesse” dei tedeschi e che garantirebbe l’opportuna difesa di una moneta unica che ha portato “grandi benefici” garantendone “alla Germania in misura forse maggiore rispetto ad altri Paesi”. Rispondendo alle domande del quotidiano della City, Monti ha poi lodato la cultura della stabilità finanziaria espressa da Berlino, ma nel finale ha rincarato la dose definendo gli eurobond “un interessante punto di arrivo” e ricordando, inoltre, come una Bce indipendente potrebbe decidere nella sua autonomia la propria politica monetaria.
Monti, dunque, sceglie di colpire la Germania nei suoi punti critici. L’idea di fondo, pare di intuire, è che la situazione attuale (“gravissima”, direbbe Mario Draghi) imponga una svolta da parte dei tedeschi. Solo che, in sostanza, non si tratta solo di tirare fuori più soldi, quanto, piuttosto, di garantire una copertura piena del debito europeo. Efsf potenziato e magari gli eurobond per trasformare gli acquisti di titoli periferici (Btp, bonos, bond greci, portoghesi e irlandesi) da provvedimento di emergenza a strategia costante. E il fatto che il punto d’arrivo implicito sia una Bce in versione Fed che possa decidere in ogni momento di stampare i propri soldi diventando il garante ultimo delle pendenze contabili d’Europa (il famoso prestatore di ultima istanza) non sembra rappresentare per Monti un tabù particolare. Peccato però che i tedeschi continuino a pensarla diversamente. L’Italia “può fare il lavoro da sola” ha detto oggi il capo dei consiglieri economici della Merkel Wolfgang Franz rispondendo, in un’intervista a Bloomberg, alle istanze del capo del governo italiano.
La necessità di trovare un punto di accordo resta comunque inderogabile. Mentre l’Europa sperimenta una spaccatura politica mai vista, si fa sempre più minaccioso il rischio di un nulla di fatto sul tema della ristrutturazione greca. I creditori di Atene non hanno accettato l’haircut e il Fondo monetario internazionale non ha quindi la possibilità di sbloccare i fondi di salvataggio. Se l’Europa non interviene e la situazione resta tale, il default definitivo della Grecia dovrebbe avvenire nello spazio di cinque settimane. Tanto manca alla scadenza di quel maxi bond da 14 miliardi circa che il governo ellenico non è in grado, ad oggi, di saldare completamente. Uno scenario tremendo per l’Europa, che provocherebbe quasi certamente, spiega oggi il Financial Times, un forte rialzo dei rendimenti sui titoli delle nazioni più indebitate esasperandone quindi la crisi. Le agenzie di rating ormai considerano la bancarotta ellenica pressoché scontata. Difficile, allo stato attuale delle cose, farne loro una colpa.