C’è ancora qualcuno convinto che la mafia al Nord non esista, nonostante il Parlamento europeo abbia preso atto, dopo una serie di mie interrogazioni parlamentari alla Commissione europea e una risoluzione sulle mafie nell’Ue, del fatto che le cosche si sono addirittura infiltrate in tutti i 27 Stati membri.
Eppure, già nel novembre del 1991, una donna che i giornali hanno ribattezzato “la merciaia”, denuncia il racket delle estorsioni. Il suo nome è Pina Aquilini, ed è stata la prima, e una delle poche (forse l’unica), commerciante toscana di Campi Bisenzio che abbia deciso di affrontare in tribunale la mafia. Grazie alle sue testimonianze finisce in carcere Marcello Cavataio, nato a Montalcino (e non a Corleone) ma, a detta della DDA di Firenze, appartenente “all’ambiente mafioso” e facente parte di “un gruppo familiare che per lunghi anni si è reso responsabile di gravissimi fatti delittuosi (omicidi, estorsioni, reati in materia di stupefacenti ed altro […])”.
Così Pina Aquilini fa il suo dovere di cittadina e commerciante onesta, fa arrestare i membri della banda del Cavataio e, come da tradizione, finisce sul lastrico. Il Fondo Antiracket non la aiuta e nel novembre del 1993 viene avvicinata dagli uomini del Cavataio e picchiata affinchè ritratti. Ma la signora Aquilini non demorde, denuncia anche i suoi aggressori. Per 8 anni lo Stato non le riconosce alcun risarcimento: soltanto nel 2000 le viene concesso il contributo previsto per le vittime del racket.
Finalmente Pina Aquilini vede una luce in fondo al tunnel. Paga i debiti e riparte, dopo anni di miseria e sofferenze, con la sua attività. Ma la serenità dura poco, perchè nei primi giorni del 2002 la mafia bussa di nuovo alla sua porta, e fa rumore: Giuseppe Santaguida, imparentato con uno ‘ndranghetista, le chiede di “versare” 4 milioni (di lire) al mese, e per convincerla a non farne parola con nessuno le mette le mani addosso. La “merciaia” denuncia, ancora, e si costituisce parte civile nel processo a carico di Santaguida.
Oggi Pina Aquilini vive lontano dalla sua merceria e dalla sua Campi Bisenzio. E’ dovuta scappare in un paesino di montagna, perchè i boss sono ancora in paese. Lei, come mi scrive in una lettera, la mattina si alza alle cinque per andare a fare le pulizie per cinque euro l’ora, lavora soltanto due ore al giorno e ha un marito disoccupato. Ciò significa che con dieci euro al giorno deve mandare avanti una famiglia. Non chiede nulla, la “merciaia”, ma rivendica il suo diritto ad avere restituita la propria dignità, troppe volte calpestata da uno Stato assente, indifferente, ingrato. Le storie dei testimoni di giustizia, patrimonio morale e civile inestimabile del nostro Paese, purtroppo non sono incoraggianti: basti pensare che la maggior parte di loro ha in sospeso qualche contenzioso con la Commissione Centrale Protezione del Ministero dell’Interno.
Buona parte delle istituzioni, comunque, continua a suggerire a commercianti e imprenditori vessati di denunciare, salvo poi abbandonarli al loro crudele destino. E’ indispensabile che il sistema di gestione dei testimoni di giustizia e delle vittime del racket venga rivisitato a dovere, poiché a queste condizioni gli imprenditori e i commercianti taglieggiati che vorrebbero esporsi hanno, giustamente, paura delle conseguenze. Per questo quello che mi auguro è che il legislatore, l’attuale governo (o più probabilmente quello che verrà) e in particolare il Ministro dell’Interno, vogliano impegnarsi affinché funzioni meglio il sistema di cautele (che non vanno confuse con quelle riservate ai collaboratori) e che ai testimoni di giustizia vengano concretamente garantiti, oltre alla sicurezza personale, anche aiuti materiali, economici, psicologici e sociali. Senza eccezioni e puntualmente. Spesso ai testimoni di giustizia costretti a cambiare identità e a trasferirsi in incognito, per esempio, non viene assicurata un’assistenza adeguata rispetto al trauma che stanno subendo, mentre ad altri accade di ricevere cartelle esattoriali da urlo benché queste dovessero essere bloccate da sospensioni prefettizie. Tutto questo non deve più accadere.